1764 (Sec. XVIII)
mm 438 x 694; spess. 1,6-2,1
Osservazioni:
Osservazioni: Giovanni Battista Piranesi intendeva concludere il volume sulle
Antichità d'Albano con la tavola XXVI descritta nella scheda precedente (
M-1400_482a e
M-1400_482b) e così si presentano gli esemplari di tale lavoro editoriale messi in commercio nei primi anni. Soltanto in seguito l'architetto veneto decise di aggiungere, senza apportare alcuna modifica al testo introduttivo, un'ultima tavola a doppia pagina, avente per soggetto un tratto della via Appia: la parte che prosegue appena usciti da Albano, poco dopo la chiesa di Santa Maria della Stella, ed entrati nel comune di Ariccia. Ciò avvenne in un momento imprecisabile in base alle attuali conoscenze ma, poiché la nuova matrice reca la firma accompagnata dal titolo di
cavaliere, questa risulta databile posteriormente alla fine del 1766 o, meglio ancora, dopo il gennaio 1767 quando Piranesi fu ufficialmente investito del prestigioso titolo (cfr. Battaglia 1994, p. 259, nota 8).
L'incisione rappresenta, come spiega la didascalia incisa sulla matrice in basso a sinistra, una
Veduta della magnifica Sostruzione fabricata per regger la falda del Monte, e per render la Via Appia più commoda, / e meno declive tra la Valle, e le due opposte Colline. Si tratta, infatti, della sostruzione costruita dai romani in località Valle Ariccia per compensare il notevole pendio creato da un antico cratere e rendere in tal modo rettilineo il percorso della
Regina Viarum o, perlomeno, privo di grandi dislivelli. L'enorme viadotto romano, ammirevole opera di ingegneria, fu costruito in opera quadrata di peperino e nucleo cementizio. Sotto il piano stradale, nella colossale struttura muraria, erano stati aperti due archi per permettere il passaggio di strade ortogonali e consentire il deflusso delle acque. All'epoca di Piranesi in quel tratto la via Appia era ben conservata, compresa la sua pavimentazione originale, come mostra la sua veduta, dove si riscontra una rappresentazione molto fedele alla realtà in base al confronto con le antiche foto scattate da Thomas Ashby tra la fine dell'Ottocento e il primo Novecento (cfr. Le Pera Buranelli, Turchetti 2003, pp.113-114). Con il restauro effettuato sotto il pontefice Pio IX e la successiva asfaltatura del piano stradale quel tratto della via consolare perse parte del carattere originario. Tuttavia la sostruzione si conserva abbastanza intatta, seppur con qualche modifica (cfr.
idem, fig. 53.1; 53.2; 53.3) ed anche oggi, come in passato, è in gran parte nascosta dalla vegetazione cresciutavi intorno.
Durante i suoi sopralluoghi Piranesi aveva deciso di escludere la rappresentazione di tale opera ingegneristica forse perché era oltre Albano, e quindi al di fuori dell'area che si era prefissato di indagare, o perché gli era sembrata di scarso interesse o ancora, più semplicemente, perché sfuggita al suo attento occhio osservatore. Quest'ultima ipotesi è quella avanzata da Andrew Lumisden, che tuttavia appare la meno probabile. L'antiquario scozzese soggiornò a Roma tra il 1750 fino all'inizio del 1769 svolgendo il ruolo di segretario del principe Charles Eduard Stuart in esilio nella città papale. Egli, durante le sue visite turistiche nei dintorni di Roma, molto frequentati dai G
rand Tourists inglesi e tedeschi, aveva notato e apprezzato l'imponente costruzione romana nella valle di Ariccia e si era sorpreso che Piranesi avesse tralasciato di rappresentarla nella sua serie di incisioni dedicata alle
Antichità d'Albano. Quando Lumisden lasciò Roma per stabilirsi nella primavera del 1769 a Parigi, grazie a una rendita derivante dalle proprietà paterne poté dedicarsi alla scrittura e, in memoria del suo soggiorno italiano, scrisse una guida che pubblicò a Londra nel 1797:
Remarks on the Antiquities of Rome and its Environs ristampata poi nel 1812. In tale opera editoriale, rivolta ai connazionali inglesi interessati a visitare la città papale e i suoi dintorni,
Lumisden scrisse dopo aver descritto la sostruzione: “This mole remains a monument of Roman grandeur, and gives an high idea of the expense they bestowed on their consular roads. To see it to advantage, it is necessary to go down to the vale, for its sides are now so covered with trees and shrubs, that one may travel along it without perceiving its greatness. Such had happend even to the ingenious Piranesi, to whom, on publishing his elegant work on Albano, I observed that he had taken no notice of this part of the Via Appia: he promised to supply this neglet, but which, as far as I know, has not been done.” (Lumisden 1797, p. 457, ed. cons. 1812).
Andrew Lumisden apparteneva alla cerchia di conoscenze di Piranesi ed era un suo grande estimatore anche se qualche volta fu critico nei suoi confronti, come in questo caso. Molto probabilmente l'incisore veneto, mantenendo la promessa fatta a Lumisden, eseguì una nuova tavola rappresentando la sostruzione sulla via Appia e la mise in commercio inserendola alla fine del volume, dapprima senza alcuna numerazione, come attesta l'esemplare ora al Getty Research Institute (cfr.
Sitografia), incidendo poi con bulino il numero romano XXVII sulla matrice, in alto a sinistra, dopo aver cancellato una parte della riga nera che costituisce la cornice che inquadra la figurazione.
Come si è già visto, la matrice fu incisa da Piranesi sicuramente posteriormente alla sua nomina a cavaliere, dopo la fine del 1766 o l'inizio del 1767, ma secondo quanto si evince dal testo di Lumisden, e accogliendo la conseguente proposta di McCarthy, il termine
post quem potrebbe essere spostato a dopo il 1769, anno di partenza da Roma dell'antiquario scozzese, che lasciò l'Urbe alla volta di Parigi senza aver avuto notizia della realizzazione della tavola da lui sollecitata (McCarthy 2000, pp. 79-80).
Secondo quanto si apprende dal frontespizio del volume, Lumisden redasse il testo a Parigi nell'arco di tempo compreso tra il 1769 il 1773 senza effettuare alcun aggiornamento successivo. La mancata revisione dei testi potrebbe essere la ragione per cui, nonostante il libro fosse stato pubblicato molto tempo dopo (1797), l'autore non faccia mai riferimento alla esecuzione dell'incisione lasciando invariata la frase “… [Piranesi] promised to supply this neglet, but which, as far as I know, has not been done.” L'incisore non può aver eseguito la lastra dopo la pubblicazione del volume di Lumisden per oggettivi limiti cronologici, dal momento che visse fino al 1778, ed è difficile pensare che l'antiquario scozzese non abbia mai ricevuto in dono un esemplare della nuova incisione o, perlomeno, non abbia avuto notizia della sua esecuzione. Secondo quanto sostenuto da Ficacci, la tavola aggiunta non apparve nelle edizioni prima del 1797 sebbene fosse stata eseguita da Piranesi dopo che questi ricevette alcune lettere di Andrew Lumisden nell'aprile 1769 (Ficacci 2000, p. 450).
La matrice è particolarmente interessante dal punto tecnico e raggiunge livelli artistici notevoli. È sorprendente come si possa riuscire a fare un capolavoro rappresentando un semplice muro eppure l'artista Piranesi è riuscito in tale impresa. Più che la stampa, è la lastra da cui questa deriva l'opera straordinaria. I massimi scuri, e soprattutto le linee di congiunzione tra le diverse file di blocchi di peperino, sono realizzati con solchi insolitamente profondi ottenuti mediante l'uso del cesello. Il risultato è che si ha l'impressione, guardando la lastra nell'insieme, di essere di fronte a un bassorilievo plastico tale è forte il dislivello tra i diversi segni. Non è la prima volta che si riscontra tra le opere di Piranesi l'impiego del cesello, uno strumento tipico dell'oreficeria impiegato abitualmente dagli orafi in abbinamento al bulino. Il nostro incisore unisce all'uso magistrale della tecnica dell'acquaforte quello del bulino, utilizzato in maniera molto personale mediante colpi vigorosi, e quello del cesello. E da tutti gli strumenti riesce ad ottenere la massima capacità espressiva. Risultati analoghi si riscontrano nella serie delle
Carceri, rilavorata intorno al 1761, con la quale già molti studiosi hanno rilevato analogie tecniche e stilistiche con la serie qui esaminata delle
Antichità d'Albano.
Tra gli esemplari consultati si è riscontrata l'assenza della stampa corrispondente alla matrice qui analizzata nel volume della Biblioteca Vaticana, R.G. Arte Archeologia, S.407 e in quello della Corsiniana, 52K20, che risultano essere tra i più antichi esemplari e quindi editi prima che fosse realizzata la matrice in questione. L'assenza di quest'ultima si rileva anche nella raccolta Ashby (
Ashby, Stampe Cartella Piranesi. 17) ma ciò potrebbe essere dovuto a una mancanza casuale poiché in questo caso si tratta di stampe sciolte.