1762 (Sec. XVIII)
mm 436 x 646; spess. 1,8-2,2
Osservazioni:
Osservazioni: La matrice si combina con la precedente
M-1400_485 per ottenere un'unica stampa.
La presente opera ha dimensioni che superano quelle, già ragguardevoli, delle altre tavole le quali occupano solitamente due pagine del volume, ed è costituita dall'unione di due matrici di formato diverso, con pari altezza ma differenti nella larghezza. Al centro della composizione è posta la
Fig. I con la sezione prospettica longitudinale della camera di manovra. L'immagine è molto simile a quella incisa poco tempo prima (1761) nella tavola XXX della serie
Della Magnificenza, intitolata
Schemata Emissarii Lacus Albani, rispetto alla quale l'opera in esame risulta meno pittorica e, come già osservato da Salinitro, più fredda e didascalica (Cfr. Salinitro in Mariani 2017, pp. 192-193, catt. 63-64). Anche quell'incisione fu realizzata da Piranesi con lo stesso intento: quello di dimostrare la diretta connessione della tecnica costruttiva dell'emissario albanense con quella della
Cloaca Maxima, quindi una prassi dalle origini antichissime appresa dagli antenati “toscani”, ovvero gli etruschi, e non dai greci (cfr.
Della Magnificenza 1761, p. lxxiii, Par. XCIX in Mariani 2017,
Appendice, p. 30).
L'archeologo Spadea segnala di aver analizzato
in situ le pareti parzialmente conservatesi, quella nella sezione prospettica in esame contraddistinta con le lettere
O e quella analoga opposta qui non visibile, ma esse non presentano alcuna traccia dei punti in cui potrebbero essere stati addossati i pilastri che davano luogo a un doppio spazio all'interno della camera di manovra, come sostenuto da Piranesi, uno coperto con una volta a botte (il vestibolo), l'altro con il tetto “testudinato” (cfr. Spadea in Speciale 1979, p. 40, cat. 4).
Le figure
II-
VI sono volte a dimostrare le ipotesi costruttive formulate da Piranesi, in particolare esse rappresentano uno dei pozzi utilizzati per l'areazione e il cunicolo ad esso connesso; quelle con il numero
VIII,
IX e
X sono invece dedicate alla parte finale del complesso idraulico, il punto in cui l'emissario trova sbocco dopo aver compiuto il percorso ipogeo. La
Fig. X rappresenta in particolare una veduta di tale luogo, in cui nel Medioevo era sorto un piccolo borgo; l'abbondante acqua del lago, captata prima di essere dispersa nei canali di irrigazione della campagna, era impiegata per diversi scopi: fontanili con lavatoi usati dalle donne per fare il bucato, mulini che sfruttavano l'energia idraulica, una conceria di pelli. Le attività che vi si svolgevano sono illustrate con dovizia di particolari nelle tavole seguenti, VII-IX (catt. 9-11); una veduta delle costruzioni esistenti allora nella parte terminale dell'emissario è riproposta in maniera molto simile, ma con dimensioni più grandi e quindi con maggiori dettagli, nella tavola VII (cat. 9).
Le due lastre che compongono la tavola descritta mostrano un'esecuzione ad acquaforte con interventi a bulino. Alcune limitate correzioni si individuano su entrambe le matrici: in quella minore (
M-1400_485) esse sono presenti nella parte inferiore, in alcune lettere della
Fig. VII e nella zona centrale della
Fig. VIII dove è tratteggiato il terreno, sopra la lettera
G; nell'altra lastra (1440/484) una larga correzione si nota a destra, presso il bordo, dove è delineato il terreno sotto alla lettera
F. La matrice più piccola (
M-1400_485) ha inciso sul verso un ordito meccanico, eseguito con tecnica indiretta, forse realizzato come esercitazione da un allievo.