1751-1756 (Sec. XVIII)
mm 403 x 649, spess. 1,8-2,2
Osservazioni:
Osservazioni: Il frontespizio del secondo tomo, dedicato come il successivo ai monumenti funebri di Roma e della campagna intorno, raffigura nell'immaginario dell'autore l'antico bivio tra la via Appia e la via Ardeatina, una veduta di fantasia in cui ogni elemento si ispira all’antico, senza mai corrispondere a oggetti identificabili o a edifici noti; contrariamente a quanto avviene nelle tavole interne al volume, dove le sepolture e i reperti sono esaminati nelle loro componenti con scrupolo scientifico e aderenza al vero.
I frontespizi dei quatto tomi rappresentano, del resto, per Piranesi il luogo ideale in cui ricostruire situazioni virtuali generate dal dato concreto dell'antichità: “un appropriato terreno per libere sperimentazioni, alla stregua delle architetture per gli apparati delle feste” (Wilton-Ely 1994A, p. 76).
Un disegno preparatorio per questo frontespizio si conserva presso il British Museum di Londra, orientato nel medesimo verso della stampa e di dimensioni molto prossime a quelle della matrice (cfr. Hylton Thomas 1954, p. 45, n. 32; Bettagno 1978, pp. 43-44, cat. 35);
Frontispiece of the second volume: reconstruction of the two roads with the tombs along them.
Inoltre, il tema iconografico del mausoleo romano, qui raffigurato in primo piano, ricorre nel repertorio piranesiano sin dai tempi dei suoi studi sulle architetture antiche (cfr.
Mausoleo antico in
Prima Parte di Architetture, e Prospettive 1743, Mariani 2010, p. 29, cat. 4), e continuerà a essere indagato nei disegni degli anni a seguire (cfr.
Magnifico mausoleo in Bettagno 1978, p. 60, cat. 66, datato al 1770 circa).
Nel fittissimo tessuto dell'incisione si possono rintracciare alcune epigrafi sulle quali si leggono i nomi di personaggi legati all'autore da un rapporto di amicizia, quali quello del pittore scozzese Allan Ramsay, o quello dell'architetto Robert Adam, conosciuto da Piranesi a Roma nel 1755 cui dedicò
Il Campo Marzio dell'antica Roma (1762); tra queste, sulla destra della via Appia, “sopra una tomba, le di cui odierne rovine si suppongono del Sepolcro degli Scipioni” (
Lettere di Giustificazione, lettera del 25 agosto 1756, n. 3), la lapide parzialmente nascosta dai fumi di un braciere con l'iscrizione: “IACOBO CAVFIE VICE COMI CHARLE REGNI H. P. A.”.
A differenza di quanto riscontrato sulle matrici degli altri tre frontespizi delle
Antichità (catt. 2, 144, 199), in cui il nome del nobile irlandese dedicatario dell'opera è stato rimosso da Piranesi in seguito alle risapute controversie insorte tra i due (cfr.
Lettere di Giustificazione, 1757 e cat. 265; cfr. inoltre Hyde Minor 2006), su questa matrice la scritta non è affatto interessata da abrasione.
Su tutti gli esemplari a stampa consultati il nome di Caulfield è quindi leggibile. Solo su un esemplare donato dall'autore alla biblioteca della famiglia Barberini, confluito nei fondi della Biblioteca Vaticana (Barberini X.I. 21, uno dei due esemplari), si può notare un singolare intervento effettuato dall’autore direttamente sulla stampa, dove la dedica viene coperta con la biacca.
Tuttavia l'incisione non conobbe un unico stato (Donati 1950, p. 234; Monferini1967, p. 298 e 1978, p. 17; Antetomaso 2004, p. 112): sulla matrice è presente infatti un'abrasione in corrispondenza di un'epigrafe triangolare situata sul margine destro in basso della via Appia, poco oltre il cippo marmoreo su cui è inciso il nome della via. Sugli esemplari di primo stato (BAV, Cicognara; Braidense) in quella targa si legge ancora il nome di Giovanni Parker, agente a Roma di Milord Charlemont, contro il quale essenzialmente si scagliò l'acerrima polemica piranesiana; mentre le altre stampe consultate sono tutte in uno stato successivo, poiché quel nome è stato sostituito con un'altra scritta difficilmente decifrabile sulla matrice (per la quale cfr. Gavuzzo-Stewart 1999, pp. 111-112). Tale intervento con raschietto e brunitoio fu eseguito da Piranesi subito dopo aver tirato dalla matrice una sessantina di esemplari (cfr.
Lettere di Giustificazione, p. X).
Sulla matrice non compaiono altre abrasioni. La lavorazione ad acquaforte con morsure multiple, finalizzata alla costruzione della prospettiva aerea, è fortemente prevalente su quella effettuata a tecnica diretta. Il bulino è localizzato in poche aree e circoscritto alla necessità di rientrare nei segni corrosi dall'acido per approfondirli, rendendoli quindi più recettivi all'inchiostro, per ottenere in stampa la gradazione tonale più scura. Questo avviene in quelle zone della matrice dove si dovevano rafforzare le ombre, ossia sul margine destro e in basso a destra, e sui primi piani del punto di snodo tra le due vie consolari.
Limitati sono anche i ritocchi a bulino, brevi segmenti scavati con lo strumento per definire i dettagli o aumentare le vibrazioni chiaroscurali: si vedano, ad esempio, i ritocchi sul frammento di muro diroccato con vegetazione spontanea alle spalle del busto femminile in basso a destra, così come i ritocchi nell'angolo in basso a sinistra sotto il torso virile mutilo.
Dal confronto tecnico-linguistico con il frontespizio del primo tomo (cat. 2), presumibilmente lavorato da Piranesi nello stesso periodo, si evidenzia che entrambe le composizioni a carattere archeologico-vedutistico sono impostate prospetticamente e fortemente contrastate nei chiaroscuri; tuttavia, per massimizzare i distacchi tonali nel primo frontespizio Piranesi aveva protratto i bagni in acido fino a bruciare il tracciato segnico della figurazione in primo piano, dove desiderava le tonalità più scure, ripristinando poi completamente le trame segniche, compromesse dalle morsure eccessivamente prolungate, attraverso un uso massiccio del bulino. Di contro, sulla matrice del secondo frontespizio l'acquaforte non arriva a corrompere la linearità del tracciato, e la tecnica diretta viene impiegata per approfondire i segni scavati dal mordente (rientro nei segni) o per ritoccare, definendoli, alcuni particolari compositivi.
Piuttosto che ipotizzare un utilizzo di acidi o vernici di protezione differenti, si può pensare che la giustificazione delle diverse espressioni tecniche sia da individuare nelle distinte iconografie: nella prima l'abbondanza di oggetti in primissimo piano necessitava di neri molto intensi in stampa, mentre nella seconda si voleva esaltare una forte e diffusa luminosità, resa con la rarefazione dell'inciso nel procedere dei piani prospettici verso il fondo.
Questa matrice è interessata dalla presenza di un'importante frattura dall'andamento semicircolare sul margine superiore della lastra che si estende per circa 16 centimetri, a sinistra e a destra del mausoleo in primo piano. La frattura è stata ricomposta sul verso con una saldatura in ottone. Lo stesso metallo saldante è andato a colmare sul recto le lacune derivanti dalla perdita del rame lungo la linea di giunzione. L'inconveniente descritto e il successivo rimedio devono essere fatti risalire al momento stesso della manifattura del supporto, poiché non si registrano discontinuità nei segni incisi in quell'area della lastra.
Sul verso della matrice risultano particolarmente evidenti le tracce della morsura per colatura (cfr. cat. 6).