1746-1756 (Sec. XVIII)
mm 134 x 199, spess. 1,2-1,4
Osservazioni:
Osservazioni: Come nel gruppo di vedute spettanti a Piranesi pubblicate da Fausto Amidei la prima volta nel 1745 (cfr. cat. 25), l’itinerario di Piranesi si sposta repentinamente dall’area degli
Horti Sallustiani, con il cosiddetto Tempio di Venere, all’edificio conosciuto dall’epoca delle indagini di Pirro Ligorio come Tempio di Minerva Medica. Questo importante edificio dalla struttura circolare coperta da una cupola del diametro di 25 metri (oggi riconosciuto come Ninfeo monumentale incluso negli Horti Liciniani, LTUR,
Horti Liciniani,
Tempio di Minerva Medica, ma anche s. v.
Sessorium, p. 307) doveva essere di grande interesse per l’architetto veneziano, come lo era stato prima di lui, fra gli altri, per Baldassarre Peruzzi, Pirro Ligorio e Palladio, che ne avevano disegnato la pianta decagonale, le esedre laterali semicircolari e l’ambiente allungato biabsidato all’ingresso, somigliante a un nartece.
Rispetto alla precedente interpretazione dello stesso tema, Piranesi cambia il punto di vista della composizione (mentre tornerà a scegliere la stessa impostazione nella
Veduta del Tempio ottangolare di Minerva Medica nelle
Vedute di Roma, datata 1764;
M-1400_758, Hind 1922, p.36) per cogliere i principali elementi architettonici dell’edificio, mostrando il tamburo su cui poggiano le rispettive nervature laterizie coperte da un’opera in calcestruzzo digradante verso la sommità: la sua intelligenza della struttura originale gli permette di distinguere come posteriori gli impianti laterali (cfr.
Indice, n. 123), ritenuti oggi, grazie all’analisi dell’opera mista di tufelli e mattoni e il confronto con i bolli laterizi del corpo principale, appartenenti a una fase di poco successiva, quando problemi statici resero necessari lavori di consolidamento (Cima 1998, pp. 430 e sgg.).
Come le altre piccole vedute prese in esame in questo I tomo, questa mostra i caratteri stilistici e tecnici delle opere autografe sia nella composizione, sia nella lavorazione della matrice; si noti, però, la lavorazione del cielo da ritenersi l’intervento di un collaboratore che replica passivamente gli stilemi adottati nell’ambito della bottega piranesiana (un cielo realizzato con la medesima convenzione grafica, ma certamente autografo, si troverà nella tavola che conclude le
Antichità nelle tirature posteriori al 1756,
Avanzi di un Collegio di Silvano Aureliano distanti circa quattro miglia da Roma, cfr. cat. 262). La matrice è incisa ad acquaforte e ritocchi a bulino; per calibrare le ombre in alcune aree, come negli spicchi della volta, l’incisore rientra nel segno con il bulino fin quasi a obliterare il tracciato ad acquaforte; profondi segni di bulino sono concentrati in alcune aree imitando quasi plasticamente la scabrosità nelle murature corrose dal tempo.