1769 (Sec. XVIII)
mm 251 x 396; spess. 1,5-1,7
Osservazioni:
Osservazioni: Un disegno preparatorio per questo camino, in uno stato di definizione pressoché rispondente all'incisione finale, si conserva presso la Pierpont Morgan Library di New York (1966.11:63), eseguito a penna e inchiostro bruno su sanguigna e gesso nero. Il fregio è percorso da maschere collegate da festoni, inframezzate da strumenti musicali e, al centro, una grande corona di quercia cui si annoda un nastro. Quest'ultima iconografia è elencata da Piranesi nel- l'
Indice de' Monumenti Etrusci di vario genere …, e degli ornamenti … usati ne' predetti monumenti, alla fine del
Ragionamento Apologetico (n. 45), illustrato nella corrispondente tavola nel testo. La rappresentazione della corona, della quale Piranesi dichiara la derivazione “Toscana”, ricorre comunque in altre sue opere dagli anni Sessanta, fino anche al basamento di un vaso della raccolta
Vasi, Candelabri, Cippi, 1778 (I, tav. 45, rame
M-1400_551).
L'elemento decorativo dominante in questa tavola è quello dei due imponenti leoni monopedi sui montanti, cui è affidata la funzione portante dell'intero camino. Il motivo trae spunto dall'antico: un supporto (
trape- zophoros) in alabastro fiorito per un tavolo di epoca romana, appartenente a Piranesi, che fu acquistato dopo la morte dell'artista nel 1779 dal Museo Vaticano (Sala degli Animali; cfr. González-Palacios 2018, pp. 262, 287-289). Ma anche il trapezoforo a zampa felina del I o II secolo, sempre appartenuto a Piranesi, oggi al British Museum (cfr. Panza 2017, pp. 359-360).
E poi ancora un'urna a zampe di leone, facente parte del Museo Piranesi, venduta a Gustavo III di Svezia da Francesco Piranesi, e oggi conservata a Stoccolma (l'urna è raffigurata in uno schizzo sul Taccuino B di Modena, c. 13) (Bevilacqua 2008, p. 233). Il leone monopede impiegato come sostegno di piccole architetture e arredi ebbe in seguito notevole influenza sui disegnatori di “stile Impero”, come osserva Wilton-Ely a commento di un altro disegno preparatorio per questo camino nella collezione della Fondazione Giorgio Cini di Venezia (1978, cat. 254), che ne evidenzia il prelievo da parte di Percier e Fontaine: nel loro
Recueil de décorations intérieures del 1801 adattarono quell'elemento a un progetto per scrivania (pl. 38) e per un tavolo (pl. 44). Tuttavia ancor prima Luigi Valadier ne aveva preso l'ispirazione per le gambe dei quattro armadi da lui progettati, e realizzati dall'ebanista Andrea Mimmi, per l'arredo del Museo Profano istituito da Clemente XIII nel 1767 nei Palazzi Vaticani (il progetto degli arredi risale agli anni del pontificato di Pio VI Braschi, 1775-1799; i pagamenti per l'opera risultano dal 1780 e gli armadi dovevano essere quasi terminati nel gennaio del 1782; su questo argomento cfr. Gonzá- lez-Palacios 1997, pp. 36-37, 42;
idem 2004, 323, 327, 329, note 51, 55, 64;
idem 2018, pp. 259-263 e pp. 287-289).
In un altro camino Piranesi impiega significativamente l'iconografia del leone monopede a mo' di mensola, ma di minore impatto visivo perché immerso in una tavola sovraccarica di ornati (cat. 106). Per riprodurlo di nuovo in una tavola della raccolta
Vasi, Candelabri,
Cippi, 1778 (II, tav. 72). Sulla grata metallica della cassetta porta carbone è raffigurato un genio alato che termina in girali d'acanto tratto dal repertorio dei rilievi di età classica; sotto, grifoni alati che poggiano la zampa su un candelabro. Anche questa decorazione deriva dai rilievi dell'antichità classica, molto apprezzato da Piranesi e dalla sua bottega, che la propone sul fregio di un altro camino (cfr. cat. 103). Anche il grifone come qui rappresentato sembra ispirato a quelli sul
Vaso antico di marmo, con urna cineraria sottopostavi, che si vede presso il Cavalier Piranesi di cui alla raccolta
Vasi, Candelabri, Cippi, 1778, II, tav. 80, rame
M-1400_586a.
Da un punto di vista tecnico la matrice è stata incisa all'acquaforte; a causa probabilmente di una concomitanza tra vernice di preparazione non idonea e acido aggressivo, la morsura della matrice è avvenuta generando una morfologia di segno “a bolle” (cfr.
Note a margine), dalla quale in stampa originano effetti di raffinata morbidezza tonale. Sul tessuto grafico così ottenuto si innestano ritocchi a bulino distribuiti con estrema libertà direzionale. Sul fondo nero all'interno della camera da fuoco il bulino ripercorre il reticolo di linee incrociate ad acquaforte, per definirle laddove con la morsura erano stati conseguiti risultati lacunosi.
Il numero
33 in basso a sinistra che ordina la tavola è inciso su abrasione: la stampa nelle prime edizioni BAV, R.G. Arte Archeologia e GNAM era numerata
29.
In basso a destra, inciso leggero a puntasecca, il numero romano
XXVIII che non esiste nelle edizioni settecentesche consultate e si evidenzia invece nell'edizione Firmin Didot (1836; per una possibile interpretazione di questo riferimento inciso).