1761 ante (Sec. XVIII)
mm 405 x 307; spess. 1,6-1,8
Osservazioni:
Osservazioni: L'area del Circo Massimo, di cui la matrice in esame illustra la pianta topografica, fu sfruttata a partire dall'epoca dei Tarquini (VII-VI sec. a.C.), ai quali si deve la sistemazione della Valle Murcia con la costruzione di una cloaca che permise di drenare tutta la zona e regolarizzare il terreno. Sempre ai Tarquini risale il primo impianto circense sorto nell'area, al tempo costituito probabilmente da sole strutture mobili in legno (nel corso dei secoli il circo fu più volte ricostruito sino all'intervento sotto l'imperatore Traiano e ai vari restauri segnalati ancora nel IV sec. a.C.; sulle vicende storiche del monumento, cfr. Coarelli, 1989, pp. 326-331)
In anni giovanili Piranesi aveva già trattato questo soggetto nella
Veduta del Circo massimo, e del Palazzo de Cesari nel Palatino, inserita nella raccolta
Varie vedute di Roma antica e moderna edita da Fausto Amidei nel 1745; la stessa immagine era poi stata usata nel 1763 per illustrare l'opera dell'abate Ridolfino Venuti
Accurata, e succinta descrizione topografica delle antichità di Roma. Si tratta di una piccola illustrazione panoramica con i ruderi del circo inglobati nel contesto urbano dell'epoca, la cui raffigurazione sintetica mostra già quella sensibilità atmosferica che renderà celebre il nostro autore.
In questa tavola, invece, l'obiettivo dell'architetto veneto è mettere in risalto le competenze dei Tarquini nell'ingegneria idraulica, e più in generale nelle arti, per dimostrare il ruolo degli Etruschi come unici fondatori della civiltà Romana. Riporta quindi una dettagliata restituzione topografica dell'area in modo da evidenziare l'immane opera di riempimento della valle e di canalizzazione delle acque, raffigurando anche lo sbocco sul Tevere della Cloaca Massima e di altri due condotti fognari (n. 22 sulla pianta) riferiti dall'autore stesso al II secolo a.C. (cfr. p. 7). L'indicazione di queste cloache documenta un ulteriore dettaglio della rete idrica di Roma antica, il cui studio occupò una parte rilevante della produzione piranesiana a cavallo degli anni Sessanta (vedi le numerose tavole dedicate all'argomento in questa stessa opera, catt. 30-31 e 63-64; nelle
Antichità Romane, 1756, Scaloni in Mariani, 2014, catt. 69-70; nelle
Rovine del Castello dell'Acqua Giulia, 1761, catt. 6-25; e nella
Descrizione e Disegno dell'Emissario del Lago Albano, 1762,
M-1400_484-504d).
La matrice, incisa esclusivamente all'acquaforte secondo quelle convenzioni grafiche che caratterizzano altre opere simili come la
Pianta topografica di Roma (cfr. Scaloni in Mariani, 2014, catt. 69-70) o la
Pianta di Roma e del Campo Marzio (1774 circa,
M-1400_683-685), non presenta particolarità significative ed è da ritenersi un'esecuzione di bottega.
La collocazione della tavola all'interno del volume fu probabilmente modificata poco prima della pubblicazione dell'opera, in quanto sul testo tipografico, che correda le prime edizioni, le pagine in cui viene citata l'immagine presentano, in corrispondenza dell'indicazione relativa alla tavola, la carta abrasa e il numero stampato con timbro tipografico (vedi le pagine XXXIX, XLII-XLV).
Sul verso della lastra si segnalano delle incisioni a secco con quattro studi per diversi profili di architravi interposti tra un ordito meccanico a fasce (cfr. Monferini, 1967, p. 267, n. 964). Si rileva inoltre la scritta
Romani nel quarto di matrice in basso a sinistra, il cui tracciato è sovrastato da quelli di uno degli architravi.