Della Introduzione: Essais de différentes Frises […] des anciens Etrusques près de Chiusi
1765 (Sec. XVIII)
mm 423 x 281; spess. 1,6-1,7
Osservazioni:
Osservazioni: Le tavole con motivi ornamentali etruschi (catt. 80-82) sono le uniche immagini fuori testo pubblicate nella prima edizione delle
Osservazioni. Concepite per dare risalto alle tesi sulla natura originale dell'arte italica esposte nel
Della introduzione, queste tre lastre furono incise dopo il viaggio-studio del 1765 a Corneto (attuale Tarquinia) e Chiusi.
Nel XVIII secolo la ricerca antiquaria in Etruria meridionale aveva subito un notevole incremento sotto l'impulso dell'Etruscheria, fenomeno culturale esploso con la pubblicazione del manoscritto seicentesco
De etruria Regali di Thomas Dempster (Firenze, 1723-24) e la contemporanea fondazione dell'Accademia Etrusca di Cortona (1726). Le indagini in quest'area si svilupparono a partire dal 1736, quando la scoperta di alcune tombe dipinte nei pressi di Tarquinia spinse in loco numerosi eruditi del tempo. I primi scavi furono condotti da Gian Nicola Forlivesi, padre agostiniano legato a importanti personaggi della cultura settecentesca italiana come Anton Francesco Gori, al quale fornì alcune fantasiose riproduzioni di pitture per la sua opera
Museum Etruscum (Firenze, 1737), e Scipione Maffei, che visitò Corneto poco prima di dare alle stampe il saggio
Della nazione etrusca e degli Itali primitivi (in
Osservazioni Letterarie, Verona, 1739, tomo IV). Successivamente, sul finire degli anni Cinquanta, l'antica città della tuscia viterbese attirò anche l'interesse dei cultori stranieri, tra cui il Winckelmann, recatovisi nel 1758; il banchiere inglese Thomas Jenkins, promotore nel 1761 di una campagna di scavi nella necropoli dei Monterozzi; e l'architetto scozzese James Byres, impegnato al tempo a scrivere l'opera - mai pubblicata -
The History of the Etrurians. Come accennato sopra Piranesi visitò i siti di Tarquinia e Chiusi nel 1765, per poi farvi ritorno l'anno successivo in compagnia di Byres e John o Roger Wilbraham (cfr. Bevilacqua, 2008, p. 282). Durante queste ricognizioni l'autore ebbe modo di ampliare la sua conoscenza diretta dell'arte etrusca, elaborando un vasto campionario di invenzioni attribuite tendenziosamente a quel popolo.
Le riproduzioni di fregi e pitture scoperti nelle tombe di Corneto (catt. 80-81) e Chiusi (cat. 82) sono basate sulla libera interpretazione dei materiali visionati nel corso del primo viaggio, e non trovano riscontro nell'evidenza archeologica (per un'analisi aggiornata sulla derivazione delle epigrafi che compaiono in queste lastre, cfr. Hyde Minor, 2015, pp. 143-148). In particolare le iscrizioni documentate nella seconda e nella terza tavola del volume (catt. 81 e 82), considerate una falsificazione già nel XIX secolo, rappresentano un “centone” di testi ripresi in gran parte da differenti reperti, come le
Tavole Iguvine e i titoli volterrani illustrati nel
Museum Etruscum del Gori (cfr. Cristofani, 1983, p. 113). In queste tre composizioni, dunque, "ciò che prevale è la volontà fantastica, la
bildung immaginifica propria dell'artista rispetto alle invocate componenti filologiche" (Borsi, 1985, p. 63) che traspaiono nelle didascalie, come l'affermazione incisa sulla parte inferiore del primo rame (cat. 80): “Probleme historique à l'avantage des tailleurs. Qui des Etrusques ou des Grecs a été l'inventeur de cet espéces de gallons …”.
Le figurazioni, stagliate sopra uno sfondo piatto costituito da linee orizzontali di tipo meccanico, sono un estroso assemblaggio di elementi reali e d'invenzione presentati in forma di frammenti lapidei, secondo una formula grafica cara all'autore e riproposta più volte nelle sue tavole. Le superfici in pietra sono rese con una trama segnica estremamente variabile, che imita le diverse asperità dovute alle modalità di lavorazione o all'erosione del tempo; rapidi tratteggi creano un vibrante gioco chiaroscurale in corrispondenza delle ombre proprie degli oggetti, la cui modulazione tonale di fondo è ottenuta tramite morsure diversificate in acido alternate a coperture selettive della superficie metallica con vernice di riserva. Sporadici interventi a tecnica diretta si rilevano esclusivamente sulla seconda e sulla terza tavola (cat. 82), quest'ultima caratterizzata da una composizione più complessa e maggiormente chiaroscurata, dove il bulino conferisce il necessario aggetto ai frammenti in primo piano rafforzando l'effetto delle ombreggiature con segni liberi o rientri nel tracciato dell'acquaforte.
L'unica particolarità riscontrata su queste matrici riguarda un'inclusione in ottone presente sul margine laterale sinistro del primo rame (cat. 80, vedi in corrispondenza della parte centrale del secondo frammento dall'alto); si tratta di un intervento di risarcitura della lastra rilevatosi comunque precedente all'incisione, poiché il tracciato ad acquaforte non mostra soluzioni di continuità. Sul verso della seconda matrice (cat. 81) si segnalano invece alcuni rapidi tracciati a puntasecca non indicati nell'elenco di Monferini (1967, pp. 265-268). L'intreccio di questi segni, incisi molto probabilmente per testare la punta dello strumento, forma una sorta di stella a cinque punte ripetuta per quattro volte sulla superficie del rame.
Nella successiva produzione degli anni Sessanta l'architetto veneto utilizzò ripetutamente alcuni dei temi formali che campeggiano su queste lastre. Si vedano in particolare le due differenti tipologie di decorazione a meandri scoperte a Chiusi (cfr. cat. 82), e che da questo momento in poi entreranno a far parte del repertorio iconografico della produzione piranesiana: il primo motivo, inciso sul frammento con iscrizioni al centro della matrice, si ravvisa a esempio sul fregio in facciata della chiesa di Santa Maria del Priorato (1764-1766; cfr. Wilton-Ely, 2002, p. 51), su alcune raffigurazioni di camini (vedi
Diverse maniere d'adornare i cammini, 1769, tavv. 5, 8, 13, 42,
M-1400_897a,
M-1400_880b,
M-1400_883,
M-1400_898a), in cima all'ara ritrovata nella villa di Pompeo Magno ad Albano (vedi
Vasi, candelabri, cippi, 1778, tav. 95,
M-1400_601), oppure ai piedi del monumento dedicato a Hugh Ross (vedi
Vasi, candelabri, cippi, 1778, tav. 72,
M-1400_578); il secondo, visibile sulla parte superiore destra della lastra, si ritrova invece su altre sei immagini di camini (vedi
Diverse maniere d'adornare i cammini, 1769, tavv. 4, 17, 23, 43, 44, 52,
M-1400_878b,
M-1400_885b,
M-1400_888b,
M-1400_898b,
M-1400_899a,
M-1400_903a) e sui fregi di due differenti modelli di orologi (vedi
Diverse maniere d'adornare i cammini, 1769, tavv. 65-66,
M-1400_910a,
M-1400_910b).