1761 ante (Sec. XVIII)
mm 407 x 578; spess. 1,9-2,5
H. I
Osservazioni:
Osservazioni: L'emissario del Lago di Albano, realizzato per regolare il livello delle sue acque, rappresenta una delle più grandi opere di ingegneria idraulica dell'epoca romana. Si tratta di un canale sotterraneo lungo circa millequattrocento metri (Wilton-Ely, 1994A, p. 85), che dalla sponda occidentale del lago sbocca in località "Le Mole di Albano", sotto Castel Gandolfo. L'opera fu costruita nel IV secolo a.C, al tempo della guerra contro Veio, sfruttando probabilmente un precedente condotto artificiale del VI sec a.C. scavato per evitare lo straripamento del lago. Secondo lo storico Tito Livio (
Ab Urbe condita, V, capp. 15-17 e 19) la sua realizzazione avvenne tra il 398 e il 397 a.C e sarebbe correlata alla profezia di un oracolo, per il quale i romani avrebbero conquistato la città di Veio solo se le acque del lago fossero state incanalate in modo da non mescolarsi più con il mare (cfr. Baffioni, 1959, pp. 303-310; sulla leggenda dell'oracolo vedi Pasqualini, 2004, pp. 92-102).
La tavola, composta dall'unione di due matrici di formato simile (catt. 63-64), mostra in grande la sezione prospettica della camera di manovra delle saracinesche usate per il deflusso delle acque. Sulla parte alta delle rispettive matrici sono poi riprodotte altre due immagini all'interno di altrettanti cartigli, fissati con effetto di
trompe l'oeil sul piano della composizione principale tramite chiodi: la prima (
Fig. II, cat. 64) illustra la facciata esterna della camera precedente mentre la seconda (
Fig. III, cat. 63) una veduta con i ruderi del "castello" da cui veniva fatta defluire l'acqua del lago.
Piranesi cita l'Emissario di Albano nel paragrafo CXCIX dove, criticando le affermazioni di Ramsey e Le Roy sull'origine greca della struttura architettonica ad arco, lo porta come esempio - insieme alla Cloaca Massima - per dimostrare che in Italia "quest'arte (l'arco) fu da antichissimi tempi professata, ed appresa dagli antenati" (p. 30), ovvero dagli Etruschi. Successivamente l'autore tornerà a trattare questo monumento nell'opera monografica
Descrizione e disegno dell'emissario del lago Albano (1762), in cui i soggetti qui mostrati verranno ripresi in maniera più minuziosa nelle tavole III (
M-1400_485 e
M-1400_486; vedi fig. I, per la sezione della camera), IV (
M-1400_489; vedi fig. I, per il prospetto frontale della stessa camera) e VII (
M-1400_492; per la raffigurazione del castello). Le prime due immagini della
Descrizione, pur ricalcando in linea di massima l'impostazione iconografica e compositiva delle scene qui riprodotte (simile l'inquadratura e l'uso dei finti cartigli), risultano molto più fredde e didascaliche in confronto al pittoricismo che caratterizza questa tavola; totalmente diversa invece la veduta del castello, ripreso da un punto di vista frontale e più ravvicinato, che mostra nel dettaglio non solo l'opera architettonica ma anche le attività umane connesse al piccolo borgo venutosi a creare intorno a essa nel medioevo.
L'incisione mostra i caratteri stilistici e tecnici delle opere autografe di Piranesi, sia nella composizione sia nella lavorazione della lastra. La grafia tipica dell'autore si riscontra nel fitto tratteggio che definisce i valori materici e chiaroscurali degli elementi architettonici, nel trattamento delle figure dalla tipica fisionomia allungata degli arti superiori, o nelle modalità esecutive delle fronde arboree. Per quanto riguarda la tecnica incisoria, invece, si ravvisa il consueto procedimento adottato per le vedute delle
Antichità Romane, ossia successive morsure in acquaforte per diversificare i piani spaziali della prospettiva, l'uso in chiave pittorica della vernice di riserva (per la resa dei punti in piena luce, delle modulazioni del cielo e delle parti sullo sfondo coperte dall'atmosfera) e sostanziali rientri e ritocchi a bulino, funzionali ad accentuare gli effetti delle ombreggiature o per delineare meglio i contorni delle figurazioni (per un'analisi approfondita sulla tecnica, cfr. Scaloni in Mariani, 2014, pp. 49-56).
Sui rami si segnalano diverse abrasioni da correzione in corrispondenza delle didascalie. Le più estese riguardano quelle che corredano le figure I e III: nel primo caso (cat. 64) l'intervento coincide con l'attuale scritta
cuius meminit Livius Libro V. Decad. I, il cui tracciato segnico sullo sfondo è ripreso ad acquaforte, mentre nel secondo (cat. 63) interessa tutta la descrizione che va dal primo rigo sino alla parola
trasfigurati sul terzo. Le ulteriori abrasioni, che interessano aree assai più ridotte, non riguardano la modifica dei testi bensì sono da imputare a semplici errori di trascrizione dei letteristi (vedi sotto le lettere
mata della parola
Schemata;
sotto l'ultima lettera
j della parola
Emissarjj; e sotto la parola
C Clathrum nella figura II).
Attualmente la matrice
M-1400_314 (cat. 63) presenta due deformazioni plastiche in corrispondenza degli angoli inferiore destro e superiore sinistro, i cui effetti sono già evidenti negli esemplari a stampa del fondo Ashby e dell'edizione Firmin Didot.
Stampe corrispondenti alle matrici: CL 2399/18917 e 2399/18918.