1750-1756 (Sec. XVIII)
mm 617 x 406, spess. 1,8-2,1
Osservazioni:
Osservazioni: La tavola riproduce il sarcofago del prefetto Publio Vibio Mariano e della moglie Regina Maxima (seconda metà del III sec. a.C.), più comunemente noto fin dal medioevo con il nome di “tomba di Nerone”. Come osservato in numerose matrici del corpus piranesiano, anche questa lastra presenta delle incisioni sul verso, la cui morfologia lascia pensare verosimilmente a esercitazioni di bottega.
L’interesse destato a partire dal Rinascimento per la cosiddetta Tomba di Nerone è testimoniato dalle numerose riproduzioni grafiche esistenti. Piranesi aveva già dedicato al monumento uno dei suoi grotteschi, realizzato tra il 1747 e il 1749 (Mariani 2010, vol. I, cat. 22), la cui composizione è incentrata ancora sulla moda veneziana dei capricci di Tiepolo. Rispetto all’immaginaria ricostruzione di questa scena, la tavola in esame si caratterizza per la forte aderenza al vero e la ricchezza dei particolari.
Riferimento iconografico per questa veduta deve esser stato ancora una volta Santi Bartoli (1697, tav. 44, 1349/46), rispetto al quale Piranesi amplifica gli aspetti di realismo convenzionale, correggendo l'inversione dei lati brevi, indicando le fratture del marmo e lo spostamento del coperchio e raffigurando fedelmente sia le decorazioni a bassorilievo sia i sopraggiunti interventi di consolidamento del basamento.
Monferini (Monferini 1967, p. 300) ha ipotizzato che il rame, inciso ad acquaforte con localizzati ritocchi a bulino, sia stato parzialmente eseguito da una mano diversa da quella di Piranesi, ravvisando le tracce di tale collaborazione “nella parte alta” dell’immagine. Tuttavia, se si tralascia la figurazione del sepolcro - la cui differente grafia può essere verosimilmente imputata anche alla volontà di replicare la qualità intrinseca del rilievo -, la morfologia segnica con cui è reso il cielo non appare tanto difforme dalla cifra stilistica tipica della bottega di Piranesi. Pertanto non è da escludere che la paternità dell’opera sia da attribuire interamente all’architetto veneto, ritenendo comunque possibili alcuni interventi di collaboratori, secondo quei procedimenti di lavoro comuni nelle botteghe del tempo e in particolare in quella di Piranesi.
Di una certa rilevanza per la comprensione del
modus operandi della bottega piranesiana è il verso della matrice, le cui incisioni erano state già segnalate da Monferini (Monferini 1967, p. 265). Come accennato si tratta di esercitazioni, realizzate sia meccanicamente che con puntasecca e punzone, finalizzate allo studio di volumi in prospettiva e di effetti chiaroscurali ottenibili con strumenti da incisione.
La superficie del rame è occupata in buona parte da numerosi tracciati meccanici, con estensione e inclinazioni eterogenee, che incorporano ulteriori segni volti a figurazioni più dettagliate. In particolare, si distingue uno studio macroscopico per un portale archivoltato, con capitelli aggettanti resi a punzone, parzialmente simile a quello ravvisato sul verso della matrice
M-1400_122 (cat. 152). Accanto a tale portale, sulla sinistra, si vede un ordito segnico in prospettiva, replicato anche sull’altro lato della lastra, che potrebbe essere identificato come uno studio per sequenze di paraste e finestre. Ulteriore elemento facilmente individuabile è un motivo ornamentale, ripetuto più volte con grandezze differenti, da porre quasi certamente in relazione con gli elementi decorativi incisi per il volume
Della Magnificenza ed architettura de’Romani, e più specificatamente con i capitelli della tavola XV (
M-1400_300). Infine, sono evidenti numerose prove tecniche di formato più piccolo, inerenti principalmente la raffigurazione di elementi geometrici, arcate e differenti tipologie murarie.