Diverse maniere d'adornare i cammini ed ogni altra parte degli edifizi...
1769 (Sec. XVIII)
mm 495 x 728; spess. 1,5-2,0
Al centro: DIVERSE·MANIERE / D'ADORNARE·I·CAMMINI / ED· OGNI·ALTRA·PARTE·DEGLI·EDIFIZJ· DESUNTE / DALL'ARCHITETTURA· EGIZIA· ETRUSCA·GRECA·E·ROMANA Sotto: PRESENTATE / A / MON-SIG·D· GIOVAMBATISTA / REZZONICO / NIPOTE·E·MAGGIORDUOMO / DELLA· SANTITÀ·DI·N·S / PP·CLEMENTE·XIII / E·GRAN·PRIORE· IN·ROMA / DELLA· SAC·RELIGIONE / GEROSOLIMITANA / DAL·CAV· GIOVAMBATISTA·PIRANESI / SUO·ARCHITETTO
Osservazioni:
Osservazioni: A coronamento dell'opera
Diverse Maniere d'Adornare i Cammini, la cui gestazione ebbe una durata di qualche anno, Piranesi realizzò una composizione architettonica articolata in tre blocchi: al centro la lapide con le iscrizioni di titolo e dedica, e in basso lo stemma Rezzonico; ai lati erme affiancate da Artemidi Efesine. Quest'ultima raffigurazione abbonda nelle stampe piranesiane degli anni Sessanta, dall'accenno in
Portici tirati d'intorno (
Opere Varie, seconda edizione, Mariani 2017, cat. 4) al pettorale sul frontespizio dei
Lapides Capitolini (Mariani 2017, cat. 89). In questo contesto si arricchisce di una connotazione simbolica, come osserva Battaglia (1994, p. 255), di “manifesto programmatico della fertilità inventiva dell'artista”. Elementi figurativi quali teste di ariete, sfingi alate, festoni di fiori e frutta, fiaccole incrociate, serpenti attorcigliati, preannunciano l'abbondante repertorio di immagini delle tavole.
Un disegno preparatorio per la grande tavola si conserva alla Kunstbibliothek di Berlino (Jacob 1975, n. 871, inv. 6302): la scritta centrale della dedica nel disegno non è completata e riporta solo, scritti a chiare lettere, i nomi del dedicatario “MONSIG. GIOVAMBATISTA” e del sommo pontefice “PP. CLEMENTE. XIII” Rezzonico, zio del Monsignore, tra i quali nella dedica definitiva sarà chiarita la parentela. Alcune iscrizioni che compaiono sul disegno, sopra la dedica e in calce a questa, subiranno un ripensamento nell'iter verso la stampa finale. Tra queste l'intenzione iniziale dell'autore manifestata sul progetto grafico di presentarsi come “ARCHITETTO DELL'E.S.”, varia prima ancora di essere incisa e nella versione finale a stampa si trasforma in “SUO ARCHITETTO”. Il cambiamento lascia intravedere la maggiore confidenza conquistata da Piranesi nei confronti del Monsignore negli anni di poco precedenti l'edizione dei Camini (cfr. Vasco Rocca 1979, p. 46, e vedi oltre).
Nel caso di un'altra iscrizione che compare sul disegno Piranesi simulerà sulla matrice una cancellatura, effettuata non con il raschietto che avrebbe rimosso parte del supporto metallico, ma con segni ad acquaforte e bulino che si sovrappongono alla scritta iniziale “E ROMANA” (in particolare i segni sono sopra “OMANA”) per camuffarla, lasciandola tuttavia intravedere: Piranesi volle alterare così il titolo mettendo a conoscenza i suoi lettori dell'operazione “concettuale” che aveva deciso di intraprendere sopra l'iniziale progetto, rendendo leggibile la scritta sotto in stampa. La modifica deve essere interpretata in relazione al testo tipografico introduttivo alla raccolta dei Camini, ossia al
Ragionamento Apologetico nel quale sostanzialmente egli fece dell'architettura etrusca e di quella romana una sola categoria (cfr. Hyde Minor 2012).
Quanto rappresentato nel titolo che compare sul frontespizio è espresso infatti nel testo del
Ragionamento datato 7 gennaio 1769 che prosegue il filone teorico inaugurato da Piranesi con il
Parere sull'Architettura (1765), nel quale l'autore prende posizione nel dibattito degli intellettuali dell'epoca sulla priorità dell'arte greca rispetto alla romana, rivendicando per quest'ultima un ruolo sostanzialmente autonomo, che trova la sua origine nella cultura architettonica e artistica “Toscana” alla quale deve a suo giudizio essere assimilata.
Proprio nel
Ragionamento Piranesi espliciterà la commistione di stili per gli apparati ornamentali dei suoi Camini, annunciata sul frontespizio. Nelle sue stesse parole la poetica decorativa dell'opera: “Si vorrà da me sapere a quali contrassegni si debbano distinguere i camini che diconsi fatti all'Etrusca da quei che fatti sono alla Greca, e alla Romana. Al che io rispondo non essere così agevol cosa l'assegnare un particolare carattere per cui l'una architettura si distingua dall'altra, come da tutte si distingue l'Egizia. La Romana e l'Etrusca furono da principio una medesima cosa; da Toscani impararono i Romani, e non altra architettura usarono per molti secoli: adottata in appresso la Greca... perché la novità ed il merito fece gradire certi vezzi e certe eleganze particolari... L'Etrusca e la Greca restarono confuse insieme; le grazie e i vezzi dell'una si fecero comuni all'altra e i Romani seppero unire insieme in una stessa opera, l'uno e l'altro. Questo è ciò che ho preteso di fare anch'io in questi camini che non sono all'Egiziana: unir l'Etrusco, che è quanto dire il Romano, col Greco...” (p. 3; il gesuita genovese Gaspare Luigi Oderico, antiquario epigrafista e numismatico, è esplicitamente indicato come estensore del
Ragionamento già dall'800, cfr. Bevilacqua 2008, p. 284).
Tornando all'analisi del rame, l'autore non si accontenta di simulare una cancellatura sulla scritta “E ROMANA”; per creare l'impressione di una lapide scalpellata a mo' di
damnatio memoriae, come aveva fatto nel clamoroso precedente del frontespizio del Tomo I delle
Antichità Romane, appronta a punta secca, prima della morsura, una finta iscrizione organizzata sulle due righe sottostanti, e con acquaforte e bulino ne sovrasta parzialmente i falsi caratteri per nasconderli, come si trattasse di una scalpellatura.
Proseguendo l'osservazione diretta della lastra incisa, sull'iscrizione della dedica si registra una significativa abrasione che trova spiegazione non nel confronto col disegno, dove in quell'area non compariva ancora alcuna lettera, ma con la stampa di primo stato del Victoria & Albert Museum di Londra (cfr. sitografia): l'abrasione risulta essere in corrispondenza della scritta “A SUA EC- CELLENZA” che compare nella stampa del V&A, e che nello stato definitivo della matrice è stata rimossa.
Fu il Rezzonico ad affidare a Piranesi l'incarico di rinnovare il complesso di Santa Maria del Priorato, di Santa Maria all'Aventino e della Villa dei Cavalieri di Malta sempre sull'Aventino, lavori che Piranesi svolse tra il 1764 e il 1766, unica realizzazione di Piranesi architetto, nella quale fecero la loro comparsa numerosi motivi ornamentali e elementi decorativi che poi si ritroveranno sui fregi e cornici dei Camini. Si deve probabilmente al favore del Rezzonico l'intercessione presso il Pontefice suo zio per la nomina di Piranesi a Cavaliere dello Speron d'Oro (nomina ufficiale 16 gennaio 1767, ma già nell'ottobre del 1766 Piranesi doveva essere in grado di fregiarsene, cfr. Battaglia, 259, nota 8), con il quale titolo l'artista si firma sulle tavole delle
Diverse Maniere. La raccolta si compone di 66 tavole, escluso il frontespizio ed escluse le tavole e vignette inframezzate nel testo (catt. 77-82). Focillon ne indicava 67 a causa di un equivoco ingenerato dall'incisione derivante dalla matrice
M-1400_911a (cat. 82), ritenendola una tavola: in realtà nelle prime edizioni era una vignetta in coda al testo tipografico del
Ragionamento, che figurava sotto l'
imprimatur. Focillon probabilmente fu tratto in inganno dalla consultazione di un'edizione “francese” (Battaglia 1993, p. 259, nota 7); effettivamente anche sull'edizione Firmin Didot della Calcografia la vignetta è spostata alla fine come ultima tavola, numerata 67 probabilmente da Firmin Didot stesso che, dovendo ristampare la raccolta nel 1836 non sapeva in che successione collocare la matrice che gli era pervenuta non numerata.
All'interno della sequenza delle tavole dei Camini si possono agevolmente distinguere due gruppi stilistici, ossia gli etrusco-romani e gli egizi. A questa ultima classificazione appartengono anche due tavole dedicate alla decorazione del Caffè degli Inglesi progettata da Piranesi per la “bottega degli inglesi” in Piazza di Spagna (cfr. catt. 128- 129). La serie si chiude con 13 tavole di arredi che nella prima edizione BAV, R.G. Arte Archeologia risultavano inframezzate alle incisioni dei camini, e che nell'assetto definitivo del volume saranno collocate tutte alla fine (cfr. catt. 138-150).
Nessuna delle matrici reca una data di esecuzione. Certamente Piranesi meditava sui temi decorativi dei Camini da alcuni anni, come testimoniano ad esempio alcuni schizzi per elementi decorativi, che entreranno poi nel repertorio dei Camini, rinvenuti su un foglio della Kunstbibliothek di Berlino sul quale è disegnato l'ingresso della Villa dei Cavalieri di Malta databile al 1764-65 (Jacob 1975, n. 859v., inv. 6303; Wilton-Ely 1976, p. 217). Altra testimonianza giunge da una lettera che il Duca di Carlisle scriveva in data 29 giugno 1768 a George Selwyn da Roma affermando di aver ricevuto da Piranesi un disegno raffigurante una carrozza con antichi ornamenti (soggetto che confluirà nei Camini), che sperava di farsi realizzare a Parigi se ne avesse avuto i soldi (Vasco Rocca 1979, p. 25 e nota 2, con bibliografia).
Alcune stampe dei Camini dovevano essere pronte qualche anno prima della pubblicazione dell'edizione completa con il testo del
Ragionamento (7 gennaio 1769), come è sostenuto da più di una prova documentale. Per prima, una lettera (Pierpont Morgan Library di New York) spedita da Napoli il 3 ottobre 1767 in cui William Hamilton, all'epoca console britannico nella città, ringraziava Piranesi per le stampe di camini inviategli, e si complimentava per il lavoro che sicuramente avrebbe goduto di grande fama in Inghilterra dove i camini sono di massima utilità (Bevilacqua 2008, p. 283); inoltre una lettera che Piranesi scriveva a Thomas Hollis il 18 novembre 1768 per accompagnare l'invio di 57 tavole dei Camini, affinché questi li presentasse alla Society of Antiquaries di Londra il 25 maggio dell'anno dopo (lettera presso la biblioteca della Society of Antiquaries di Londra, Bevilacqua 2008, p. 284).
La complessità del disegno del frontespizio elaborato da Piranesi venne affidata, come nel caso dei dettagliatissimi disegni delle tavole dei camini, a un collaboratore di bottega per essere incisa all'acquaforte. Risulta tuttavia evidente la supervisione finale sul lavoro dell'incisore da parte dell'autore che, con pochi, agili e apparentemente scomposti colpi di bulino, concentrati attorno alle erme e alle Artemidi, volle accrescere il vigore dell'immagine. Si tratta di una modalità d'intervento tipica dello stile piranesiano, che nel decennio precedente trova un più massiccio riscontro in tavole di straordinaria maestria tecnica quali quelle dei sepolcri sulla via Appia (cfr. Scaloni in Mariani 2014, p. 53, fig. 5, con macrofotografia).
In basso a sinistra (destra sulla stampa) si legge, affianco alla firma, il numero
XVI inciso a puntasecca che non esiste nelle edizioni settecentesche consultate e si evidenzia invece nell'edizione Firmin Didot (1836; per una possibile interpretazione di questo riferimento inciso.