[Vignetta in testa a “Di due Spelonche”. Testa di ariete e strumenti sacrificali]
1762 (Sec. XVIII)
mm 193 x 293; spess. 1,5-1,9
Osservazioni:
Osservazioni: L'opera
Di Due Spelonche Ornate dagli Antichi alla Riva del Lago Albano apparve come appendice della
Descrizione e Disegno dell'Emissario del Lago Albano pubblicata nel 1762. Questa sezione è strutturata in maniera analoga a quella delle altre opere editoriali di Piranesi: ha prima un testo introduttivo cui segue la spiegazione delle dodici tavole incise, che sono inserite subito dopo. Non fu realizzato un frontespizio ma il testo tipografico è preceduto da una vignetta, ora in esame, con un soggetto che richiama in qualche modo l'argomento trattato. Le matrici, quella della vignetta e quelle che illustrano il volume, si conservano presso l'Istituto centrale per la grafica (
M-1400_495-504d).
Come gli altri, anche questo testo prima della pubblicazione dovette essere sottoposto all'esame dell'autorità pontificia incaricata di rilasciare
l'Approbatio. La data del permesso, riportata alla fine dello scritto, è del 30 agosto 1762 ed è quindi presumibile che la sua stesura sia successiva a quella del testo dell'
Emissario, poiché l'
Approbatio a pubblicare quest'ultima opera precede di circa quattro mesi (cfr. cat. 1).
L'artista narra nel testo dell'appendice che egli, mentre disegnava ed eseguiva rilievi dell'emissario artificiale, rivolse la sua attenzione anche a due spelonche presso la riva del lago Albano, non distanti dal monumento che stava esaminando, con decorazioni antiche ben conservate (la loro ubicazione è indicata nella tavola I della
Descrizione e Disegno dell'Emissario,
Fig. 1, lettere
C e
D, cfr. cat. 1). Esse si rivelarono significative dal punto di vista storico poiché si trattava di due ninfei di epoca romana e perciò Piranesi decise di dedicare all'argomento una trattazione specifica corredata di una serie di incisioni che le illustrassero.
A conferma della sua corretta identificazione, Piranesi individuò nelle descrizioni che Omero e Virgilio fanno degli edifici dedicati alle ninfe alcune corrispondenze con gli elementi che caratterizzano le due spelonche albanensi. Come quelle descritte dai due poeti, esse sono delle cavità naturali poste in luoghi ameni e ricchi d'acqua sorgiva, in particolare queste si trovano vicino alla riva del lago nel punto in cui c'è un'insenatura che favorisce le operazioni di imbarco dei natanti e la balneazione delle persone. Ciò che si è rivelata errata è la cronologia che l'architetto veneto assegnò alle due spelonche: ritenne che appartenessero ai resti della villa di Clodio, e che quindi risalissero al I sec. a. C., mentre in realtà facevano parte della fastosa villa suburbana di Domiziano costruita poco più sopra nel I sec. d. C., sulle cui strutture fu poi edificata villa Barberini inglobata nell'attuale residenza pontificia. E a breve distanza da questa grotta si trovava il porto dove era ormeggiata la barca di gala dell'imperatore (von Hesberg in Speciale 1979, p. 62, cat. 12).
La vignetta rappresenta un'antica lastra marmorea, con le sue erosioni e la crescita di piante presso i bordi dovute alla prolungata esposizione all'aperto, con figurazioni in rilievo collegate ai riti sacrificali che venivano compiuti per ottenere il favore degli dei. Nella zona mediana, posta in maniera preminente, è una grande
patera, ciotola di metallo impiegata durante le libagioni, con una decorazione centrale da cui si diparte un'ampia raggiera e, immediatamente sotto, è una testa di ariete con gli occhi chiusi e la lingua penzolante. Il capo dell'animale corrisponde quasi perfettamente a quello scolpito su una lastra di pietra di Villa Borghese riprodotta in una foto nel catalogo della mostra del 1979 (von Hesberg in Speciale 1979, p. 61, cat. 11). A sinistra è una
acerra, piccolo cofanetto che conteneva l'incenso, ornata con girali di acanto e, sopra questa, un corno; a destra è un coltello sacrificale con un manico che termina con una protome leonina e, sopra di esso, è un piccolo ramo di quercia con una ghianda accompagnata da una tavoletta.
Il sacrificio degli animali, cui fanno riferimento gli oggetti rappresentati sulla lastra, era legato al culto degli dèi come lo erano i ninfei, edifici sacri che i romani costruivano presso una fonte d'acqua dedicandoli a una ninfa, dea dei boschi e compagna di Diana Cacciatrice adorata presso il vicino lago di Nemi.
L'immagine delineata da Piranesi nella vignetta riprodurrebbe, secondo l'archeologo von Hesberg, un bassorilievo andato perduto dalla collocazione ignota (
ibidem). L'incisore, però, non sempre ricorreva alla raffigurazione di quello che esisteva; spesso egli componeva, come del resto facevano sovente tutti gli artisti, dei
pastiches di invenzione ottenuti con elementi di diversa provenienza. Potrebbe essere questo il caso. Non è da escludere infatti che l'incisore abbia estrapolato la testa di ariete da quel rilievo a Villa Borghese segnalato dallo stesso von Hesberg, mentre i rimanenti oggetti potrebbero derivare da altre fonti oppure essere il frutto di una personale rielaborazione.
La matrice presenta numerosi interventi a bulino, soprattutto nella parte inferiore e lungo i bordi del bassorilievo rappresentato. Sulla superficie metallica sono presenti alcuni graffi ma questi non sono profondi e pertanto non rilevabili sulle stampe derivanti dalla lastra.
Essendo questa una vignetta, non ha la numerazione con numeri romani come hanno invece le tavole.