1762 (Sec. XVIII)
mm 211 x 451; spess. 1,7-2,0
Osservazioni:
Osservazioni: Dopo aver in breve delineato nelle iniziali topografie, nella scenografia munita di indici, ma soprattutto nella grande pianta del Campo Marzio, i confini di quel territorio che fu da Romolo consacrato al dio della guerra (in realtà riprendendo un argomento già esaurito in un paragrafo del testo introduttivo alle
Antichità, ossia le
Osservazioni sulla determinazione de' limiti del Campo Marzio), con questa prospettiva dell'Isola Tiberina Piranesi inaugura quella sezione del trattato dedicata ai luoghi e alle vestigia del Campo Marzio, vero oggetto del volume. Nell'introduzione all'opera l'autore aveva affrontato l'argomento dei limiti geografici del Campo, avvicinandosi criticamente alla tesi di Biondi, Orsini e Vignoli, che a loro volta interpretavano le indicazioni di Strabone, secondo le quali questo non comprendeva solo la porzione di Urbe tra il colle Capitolino a sud e il Mausoleo di Augusto a nord, ma si estendeva a settentrione fino a ponte Molle, attuale ponte Milvio (
Capitolo Primo del testo introduttivo). Ma immediatamente a queste considerazioni Piranesi fa seguire la dichiarazione di intenti del suo lavoro, che non era quella di chiarire i confini del Campo Marzio, altri emeriti autori lo avevano fatto, quanto piuttosto far emergere ciò che resta degli antichi monumenti del Campo. Questi vengono proposti nelle tavole illustrative come avulsi dal contesto moderno che li circonda, ritratti isolati in una dimensione fuori dal reale.
L'Isola Tiberina era stato un soggetto indagato da Piranesi nel quarto tomo delle
Antichità Romane, dedicato ai ponti di Roma, con un particolare riferimento ai ponti Fabricio e Ferrato (tavv. XIV e XV; Salinitro e Garacci in Mariani, 2014, catt. 213-214). Nelle due tavole l'isola veniva prima illustrata in pianta e poi mostrato uno scorcio prospettico della punta della porzione di nave costruita con blocchi di travertino (“pietre Albane”, cfr. testo introduttivo, nota
a) che allude all'episodio relativo all'impianto del culto di Esculapio venerato sul posto sin dall'antichità (cfr. Garacci in Mariani, 2014, cat. 214).
Anche nell'introduzione al
Campo Marzio l'autore si dilunga in nota sulla leggenda della nascita dell'isola e dell'origine del tempio dedicato ad Esculapio. Tuttavia in questo volume la stessa isola assume importanza per un'altra sua caratteristica, ossia quella di rappresentare il limite meridionale dell'estensione del Campo dedicato a Marte, come abbondantemente evidenziato nelle topografie che precedono la tavola.
Tutt'altro interesse, di evidente natura pittorico-vedutistica, avrà poi Piranesi quando pochi anni prima della morte deciderà di ritrarre nuovamente l'isola secondo una diversa angolazione prospettica, per arricchire la serie delle sue
Vedute di Roma (
M-1400_740; cfr. Hind, 1922, p. 70, n. 121, che data la stampa al 1775).
In ogni caso il soggetto dell'isola in mezzo al Tevere è stato uno dei maggiormente rappresentati dalla tradizione vedutistica romana che prendeva in considerazione le vestigia dell'antichità; ma sicuramente il precedente più immediato è la veduta dell'isola verso oriente eseguita da Giuseppe Vasi per
Delle Magnificenze di Roma (libro V, tav. 93) che abbraccia però una scena ripresa leggermente dall'alto e da maggiore distanza (cfr. 3592/36, dove addirittura la capanna di legno sulla riva del fiume è la medesima che in Piranesi).
Le successive tre tavole tecniche delucidano i dettagli costruttivi della “poppa” della nave lapidea, prima affrontandola sul lato dove doveva comparire il rostro, fiancheggiato dal busto di Esculapio col simbolo del bastone e serpente attorcigliato, poi in sezione verticale, infine in una proiezione ortogonale che ne evidenzia la sezione orizzontale e il prospetto laterale.
Lo stile e la tecnica esecutiva seguono le esigenze dimostrative degli elaborati. Si ravvede la mano felice di Piranesi nella S
cenographia, dove l'incisione ad acquaforte è chiaroscurata con ritocchi a bulino, in particolare sulla quinta di destra nella raffigurazione del Ponte Rotto (
Pons Aemilius), sul tetto della capanna di legno e sul terreno sottostante. Come in altre composizioni di tipo vedutistico in cui è presente uno specchio d'acqua, Piranesi sfrutta diversi espedienti tecnici per tradurre in stampa il riverbero della luce su quella superficie (vedi anche Scaloni in Mariani, 2014, cat. 199). In questo caso rifinisce il dettaglio figurativo sotto la prima arcata a sinistra del ponte con alcuni sottili segni verticali a puntasecca, per rendere il riflesso della figurazione retrostante sull'acqua. Una piccola porzione di cielo sul margine in alto è caratterizzato dall'infittimento delle linee orizzontali all'acquaforte, per conseguire in stampa un punto di massimo scuro; mentre sottili linee orizzontali a puntasecca solcano il cielo, affiancandosi e inframezzandosi al tracciato ad acquaforte.
Un elemento stilistico che caratterizza l'autore è identificabile nel braccio proteso con la mano dalle lunghe dita del personaggio al centro in primo piano.
Per le tavole tecniche sull'Isola Tiberina possiamo invece supporre aiuti di bottega, equiparabili per le loro caratteristiche grafiche a quelle presenti nelle
Antichità Romane, numerose nel Tomo IV.
Infine alcune note tecnico-stilistiche: nella didascalia della Tab. XI sotto la parola
navis, seconda riga, risulta un'abrasione, probabilmente da imputare a un errore del letterista.
Le due figure della Tab. XII risultano particolarmente indicative dello stile incisorio della bottega impostata da Piranesi, poiché i segni incisi dall'acido procedono con ogni evidenza in modo parallelo, cercando di evitare gli incroci; per ottimizzare i chiaroscuri i segni sono rinforzati da rientri del bulino nei solchi, e da ritocchi a bulino che definiscono alcuni particolari.
Sul blocco di travertino di forma trapezoidale, nella Tab. XIII in alto, si osserva che i segni ad acquaforte sono stati abbassati col brunitoio per alleggerire la tonalità del marmo.
Sul verso della
Hypsographia, della
Sectio e della
Ichnographia sono presenti profili di elementi architettonici (fregi, basi di colonne e capitelli dorici, targhe, …), già parzialmente identificati da Monferini (1967, p. 266, nn. 442-443). Le figurazioni sono delineate a puntasecca e sovrastano le bruciature di acido prodotte in fase di morsura, da che si deduce che tali figurazioni furono realizzate in un secondo momento rispetto all'incisione sul recto della matrice.