Frontespizio. Del Castello dell'Acqua Giulia situato in Roma...
1764 (Sec. XVIII)
mm 452 x 295; spess. 1,8-2,00
; a destra: LE ROVINE · DEL · CASTELLO / DELL'ACQVA · GIVLIA / SITVATO · IN · ROMA · PRESSO / S · EVSEBIO · E · FALSAMENT[E] / DETTO · DELL'ACQVA · MARCIA; sotto: COLLA · DICHIARAZIONE · DI · VNO / DE' CELEBRI · PASSI / DEL · COMENTARIO · FRONTINIANO / E · SPOSIZIONE · DELLA · MANIERA / CON · CVI · GLI · ANTICHI · ROMANI DISTRIBVIVAN[O] / LE · ACQVE · PER · VSO DELLA CITTÀ; sotto ancora: DI · GIO · BATISTA / PIRANESI; sotto ancora: C · MARCIVS · L · F · L · N / CENSORINVS / C · ASINIVS · C · F · GALLVS / COS / EX · S · C · TERMIN;
Osservazioni:
Osservazioni: Il rame fu inciso per il frontespizio del volume intitolato
Le rovine del Castello dell’Acqua Giulia che Piranesi pubblicò nel 1761 con diciannove tavole e una dettagliata
Spiegazione, ovvero una legenda che illustra i particolari tecnici ivi rappresentati (pp. 13-20). Le incisioni sono precedute anche da un ampio testo introduttivo nel quale vengono argomentate le ragioni per cui l'autore arriva a stabilire che la fontana di epoca romana, costruita sull'Esquilino, era alimentata dall'acquedotto dell'acqua Giulia (pp. 1-12). Una deduzione, questa, a lungo considerata corretta e da poco rivelatasi errata, essendosi potuto accertare di recente, con i moderni metodi d'indagine, che si trattava in realtà di una derivazione dell'acquedotto Claudio - Aniene Nuovo (cfr. cat. 7). Al saggio introduttivo segue un'appendice dedicata alle tecniche e ai mezzi di misurazione impiegati dai romani negli acquedotti. L'ultima pagina tipografica reca il luogo e l'anno di pubblicazione,
Roma 1761, insieme al nome di colui che eseguì la stampa dell'opera, Generoso Salomoni; alle pagine di testo seguono, quindi, le tavole illustrative.
L'Istituto Centrale per la Grafica possiede la serie pressoché completa delle matrici che illustrano il volume, stampato
infolio, per un totale di venti lastre compreso il frontespizio, inventariate con i numeri dal
M-1400_394 al
M-1400_405 (catt. 6-25); nella collezione manca soltanto il rame stampato in alcuni esemplari sotto alla
Tav. IV (cat. 10) raffigurante un bollo laterizio e un frammento di una conduttura (Focillon, n. 405, IVb), forse andato perduto. Analogamente, non ci sono pervenute le matrici relative ai due capilettera figurati (una
T a pagina 1, con all'interno una moneta di Augusto e una di Marco Agrippa e una
V a pagina 21, nella quale si vedono due elementi di tubazioni idriche recanti incisi nomi di imperatori romani) e quelle concernenti le due vignette che chiudono una il saggio introduttivo, l’altra il testo relativo alla legenda delle tavole. Tutti i rami recano la firma di Giovanni Battista Piranesi.
Nel frontespizio del volume sono presenti i molti elementi che l’artista voleva porre in evidenza nella pagina iniziale, sia attraverso la parte figurativa, sia mediante le numerose iscrizioni incise sulla lastra, che vanno oltre le informazioni canoniche come la paternità dell’opera e il nome dell’editore, in questo caso coincidente con l’autore, insieme al luogo in cui le stampe potevano essere comperate: presso l’incisore a Trinità de’ Monti, quindi nel suo studio-bottega annesso all'abitazione in Palazzo Tomati sulla Strada Felice (ora Via Sistina), dove si era appena trasferito.
Piranesi crea nel frontespizio una figurazione di fantasia ispirata al tema dell'acqua. Egli immagina un edificio in laterizio, che ricorda l'aspetto del monumento romano, da cui fuoriesce un’abbondante cascata d’acqua spumeggiante che viene raccolta da grandi cornucopie decorate con volute d'acanto e terminanti con una testa taurina - si tratta di
rhyta quindi, i vasi da libagione dell’antichità, come già correttamente rilevato da Bertelli (Bettagno, 1978, p. 42) - dalla cui bocca esce acqua che continua a cadere creando nuove cascatelle. In basso, in primo piano, tra cippi dai contorni irregolari e lacunose superfici lapidee recanti iscrizioni, sono sparsi frammenti marmorei allusivi all'antichità romana: un capitello e alcuni bassorilievi con insegne militari, fasci littori, scudi, guerrieri. Ovunque spunta una rigogliosa vegetazione la quale tenta di sopraffare l'operato dell'uomo che, a sua volta, cerca di resistere alle ingiurie del tempo e alla prepotenza della natura.
Il muro in laterizio è parzialmente coperto da conci di pietra su cui sono incise scritte con lettere capitali, a imitazione delle antiche epigrafi, ove si legge l’oggetto della trattazione: le rovine del castello dell’Acqua Giulia, situate presso la chiesa di Sant’Eusebio sul colle Equilino. Immediatamente viene precisato che tale “castello” era “falsamente” denominato dell’Acqua Marcia, asserzione derivante dallo studio del celebre trattato sugli acquedotti di Giulio Sesto Frontino, un esponente dell'oligarchia senatoria romana vissuto al tempo di Nerva, che ricoprì la carica di curatore delle acque e cioè di sovrintendente agli acquedotti.
In primo piano sono inseriti altri frammenti lapidei, aventi l’aspetto di reperti archeologici, che presentano le loro iscrizioni legate all’acquedotto Giulia, cui Piranesi riteneva appartenesse il castello all’Esquilino. Nell'epigrafe maggiore si legge il riferimento ai consoli romani Caio Marcio Censorino, figlio di Lucio Mario, e Caio Asinio Gallo. Quest'ultimo in particolare era sposo di Vipsania Agrippina, figlia di quell’Agrippa che, regnante l’imperatore Ottaviano Augusto, eresse numerosi edifici a Roma, tra cui il Pantheon, conferendo alla città un aspetto monumentale. Questo stratega militare, cui si deve la vittoria nella battaglia di Azio, genero dell’imperatore oltre che suo amico e stretto collaboratore, edificò molte opere pubbliche nell’area di Campo Marzio e in particolare, quel che è più importante in questo contesto, fece costruire nel 33 a. C. il quinto acquedotto di Roma, quello dell’Acqua Giulia, quindi, secondo la ricostruzione di Piranesi, anche il castello sull'Esquilino. I due consoli, come si vedrà successivamente, erano secondo l'autore legati a tale edificio poiché il loro nome era inciso su un mattone da lui individuato nell’opera laterizia del monumento (cfr. catt. 8 e 10). Il cippo tracciato nel frontespizio era stato trovato - ci informa la scritta in corsivo incisa in basso - nell’area di Campo Marzio ed era custodito in Palazzo Capponi, prospiciente l’attuale Via Ripetta. La stessa iscrizione è riportata anche da Ridolfino Venuti nella sua
Accurata e succinta descrizione topografica dell’antichità di Roma (1763, II, p. 53), dove l’archeologo precisa che si trattava di uno dei due cippi che denotavano i confini del rione Campo Marzio e che era collocato nel cortile all'interno del citato palazzo nobiliare (Venuti, 1763, II, p. 53). Il testo dell'epigrafe è presente inoltre in un volume dedicato alle notizie biografiche degli uomini illustri della città di Chieti, alla voce “Asinio Gallo”, scritto dallo storico locale Gennaro Ravizza (1830, p. 11).
Un altro frammento di marmo nel frontespizio, collocato in evidenza in primo piano e in parte sovrapposto al cippo ora descritto, mostra raffigurato un sacchetto chiuso da un laccio, su cui sono incise le parole
VIATOR / AD / AERARIVM,
una borsa contenente il denaro pubblico raccolto attraverso il servizio di riscossione compiuto dai
viatores, gli addetti all’erario, che consentiva la realizzazione delle grandi opere pubbliche romane. Pure questo frammento lapideo, stando alla scritta, finora sfuggita agli studiosi, posta sulla superficie laterale, a sinistra, era all’epoca conservato presso Palazzo Capponi. Il piccolo bassorilievo, ancora esistente, è oggi custodito nel Museo della Civiltà romana.
Le invenzioni di Piranesi erano spesso il frutto di sapienti fusioni di elementi preesistenti, operazione del resto molto frequente tra gli artisti. Anche il capitello corinzio posto accanto al bassorilievo, con decorazioni foliacee e due delfini affrontati, deriva da esempi reali: i capitelli per colonne o paraste di Villa Adriana, in parte conservati in Vaticano e al National Museum di Stoccolma. L'incisore possedeva proprio i due esemplari di quest'ultimo museo, al quale pervennero in seguito alla vendita di suo figlio Francesco a Gustavo III di Svezia. Un disegno a matita rossa, individuato da Mario Bevilacqua tra i taccuini piranesiani di Modena, ne riproduce una metà sinistra (Bevilacqua, 2008, c. 31 e pp. 136-137, figg. 1-2).
Già nelle
Antichità romane Piranesi aveva mostrato un vivo interesse per gli acquedotti, rappresentati insieme alle mura difensive, le architetture civili e quelle religiose. L'argomento fu da lui ripreso nella serie
Delle Magnificenze e quindi ulteriormente sviluppato con
Le Rovine del Castello dell'Acqua Giulia, dove la tematica dell'acquedotto fu approfondita mediante un attento studio degli aspetti tecnici oltre che delle fonti storiche. Con questo lavoro Piranesi mostrò di possedere una solida competenza nel campo dell'idraulica e grande familiarità con le costruzioni romane. Ciò era dovuto alla sua formazione giovanile di natura architettonica avvenuta tramite la frequentazione dello zio Matteo Lucchesi, ingegnere idraulico presso il Magistrato delle Acque di Venezia, e dell'architetto ingegnere Giovanni Scalfarotto, ma determinante dovette essere anche l'esame diretto
in loco delle “rovine” attraverso le quali poter studiare con metodo scientifico e ricostruire i complessi sistemi idrici impiegati dai romani.
Nei primi anni Sessanta del Settecento Piranesi pubblicò un nutrito gruppo di libri illustrati aventi tutti argomento archeologico, rivolti a un pubblico di specialisti e non alla consueta clientela del
Grand Tour. Nel 1761 fu stampata
Della Magnificenza ed Architettura de' Romani, come
Le rovine del Castello dell'Acqua Giulia, l'anno successivo i
Lapides Capitolini con la
Descrizione e disegno dell'Emissario del Lago di Albano, e nel 1764 le
Antichità d'Albano e di Castel Gandolfo insieme alle
Antichità di Cora. Piranesi aveva cominciato a lavorare da anni a tali pubblicazioni che furono dettate dall'esigenza, da lui fortemente avvertita, di prendere parte al dibattito sviluppatosi in quegli anni tra archeologi, architetti, e uomini della cultura in genere, circa la superiorità dell'architettura greca su quella romana, per alcuni, e viceversa per altri, una
querelle destinata a non trovare soluzione. In risposta ai detrattori dell'architettura romana - accusata di essere poco originale ed imitativa - l'incisore veneziano pubblicò i succitati libri per dimostrare la netta supremazia dell'architettura romana la quale, se aveva debiti di derivazione, questi erano da individuare nell'architettura etrusca e non in quella greca. Piranesi, che aveva peraltro un carattere polemico, decise di intervenire nella disputa compiendo la sua difesa dell'arte romana, e lo fece “piuttosto che con argomenti logici - come ha acutamente osservato di recente Wilton-Ely - con l'evidenza delle sue illustrazioni” (Wilton-Ely, 2016, p. 79).
Il volume
Le rovine del Castello dell'Acqua Giulia figura, tra gli altri lavori editoriali piranesiani di quegli anni, in un articolo della
Gazette littéraire de l'Europe apparso il 26 settembre 1764, che riferiva anche della posizione a favore della civiltà romana assunta da Piranesi attraverso tali pubblicazioni. Ciò provocò il sorgere di una controversia collaterale nell'ambito della nota
querelle tra greci e romani che vide coinvolto, insieme a Piranesi, il collezionista e storico dell'arte francese, nonché incisore e libraio, Pierre Jean Mariette, esponente della corrente favorevole all'architettura greca.
La matrice relativa al frontespizio qui in esame è in ottimo stato di conservazione. Si osserva che lo spessore del rame è più elevato delle altre lastre della stessa serie. I segni incisi ad acquaforte sono accompagnati da numerosi interventi a bulino, soprattutto nella parte inferiore; nella zona in alto a sinistra, nel punto in cui l'acqua si riversa nelle cornucopie, è rilevabile una vasta correzione effettuata con raschietto e brunitoio con successive riprese mediante l'incisione diretta del bulino; un'analoga correzione si nota a destra, presso il bordo, nell'area tra la seconda e la terza epigrafe. Le scritte, realizzate con caratteri latini maiuscoli, sono eseguite a bulino e presentano le lettere Z rovesciate, peculiarità che si riscontra spesso anche in altre serie di incisioni riguardo a diversi caratteri.
Stampe: