Piranesi Giovanni Battista
Mogliano Veneto (?), 1720 - Roma, 1778
[Cassettone con orologio affiancato da coppia di vasi]
Inventario
Numero inventario: M-1400_905a
Inventario storico di categoria: 1400/905a
Nuovo inventario di categoria: 11584
Stampa corrispondente: S-CL2418_19626IVS2: CL54755_14479
Collocazione: Calcoteca
Autori
Incisore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)
Disegnatore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)
Inventore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)
Soggetto
Titolo proprio: [Cassettone con orologio affiancato da coppia di vasi]
Serie: Diverse maniere d'adornare i cammini...Denominazione raccolta: Firmin Didot (Piranesi)Oggetto
Definizione: matrice incisa
Cronologia
Datazione: 1769 (Sec. XVIII)
Dati tecnici
Materia e tecnica: Acquaforte su rame con interventi a bulino;
Misure: mm 397 x 256; spess. 1,5-1,9
Iscrizioni
Iscrizioni: In alto a sinistra:
905.a.
In basso a destra, inciso leggero a puntasecca:
XXXII
In basso a sinistra:
55; sotto:
Cavalier Piranesi inv. e inc.
Osservazioni:
Osservazioni: Nel clima estetico degli anni Sessanta del Settecento, segnato dal ritorno a un recupero classicista alimentato dalla reazione allo stile rococò, le invenzioni delle Diverse Maniere rappresentavano una risposta polemica singolarissima anche sul versante delle soluzioni più propriamente d'arredo, in cui venivano rielaborate le prime avvisaglie del goût grec francese, con le sue complesse derivazioni da modelli antichi e del Grand Siècle. Se dunque per le variate soluzioni inventive dei camini piranesiani si è evidenziato il precedente delle innumerevoli serie di stampe decorative pubblicate a Parigi dalla seconda metà del Seicento da Antoine, Jacques e Jean Lepautre, nella loro fusione di stile decorativo seicentesco e di uso di forme ornamentali antiche queste ultime dovettero costituire una fonte inesauribile anche per le invenzioni precipuamente ornamentali di questa raccolta d'acqueforti. Dandovi libero corso al furore del proprio genio inventivo, Piranesi seppe fondere quelle puntuali riprese in un repertorio inesauribile di bucrani, pigne, foglie d'acanto, sfingi e grifi, di possibile derivazione dagli scavi di Ercolano e Pompei, ma insieme anche d'ispirazione a vario titolo naturalistica, dove le linee sinuose del rococò trovano riscontro nelle forme fitomorfiche e del mondo animale.
Ne risulta così, anche per il gruppo di 13 tavole con mobili ed elementi d'arredo, orologi, portantine, vasi, appliques – riunite in coda alla sequenza nell'assetto definitivo del volume, mentre risultano intervallate a quelle dei camini nella prima edizione – una raccolta decisamente anomala per la sua natura repertoriale, pronta all'uso come un pratico libro di modelli per artigiani e decoratori, nonostante il carattere bizzarro delle proposte figurative ce le riveli di fatto non funzionali, intese forse per non essere mai realizzate. Qui l'artista trasforma le proprie fantasie architettoniche in forme apparentemente applicabili alle arti decorative, in quella che è la prima manifestazione di un uso enciclopedico dell'ornamentistica antica, sposando una vulcanica immaginazione a una coltissima erudizione nella sua veste di progettista e designer. Talvolta si tratta di citazioni programmatiche, ma più spesso della personalissima, esuberante rielaborazione di un amalgama degli elementi più vari, di volta in volta ricontestualizzati, che affiorano come pretesto per un assortimento ecletticamente individuato e inimitabile di soluzioni formali, il cui esame investe in pieno la vicenda della ricezione romana del gusto decorativo francese col tramite di Venezia, dove infatti affondavano le radici culturali piranesiane. Nel suo dichiarato intento di campionatura cui poter attingere motivi destinati alle arti applicate, la raccolta assume dunque anche una valenza didattica, nel tentativo di rivisitare le esperienze artistiche lasciateci dagli antichi per adattarle al gusto del tempo, secondo un uso concreto e artigianale.
Nel Ragionamento Apologetico introduttivo alla raccolta, summa delle teorie piranesiane sul rapporto tra licenza creativa e rispetto verso l'antico e la natura, l'artista esplicitava questo suo intento dichiarato: “Quello che i pretendo co' presenti disegni si è di mostrare qual uso possa fare un avveduto architetto degli antichi monumenti alla presente nostra maniera, e a i nostri costumi acconciamente adattandoli. Pretendo di far vedere, che delle medaglie, de' Camei, degli intagli, delle statue, de' bassi rilievi, delle pitture, e di altre sì fatte antichità, non solo si ponno servir i critici, e i dotti pe' loro lavori unendo in questi con arte, e maestri quanto in quelli si ammira, e si encomia. Chi è alcun poco introdotto nello studio dell'antichità ben vede qual largo campo io abbia con ciò aperto all'industria de' nostri artefici […]” (p. 1). Al prevalere degli elementi bizzarri e confusamente disposti l'incisore opponeva la disciplina del gusto e della giusta convenienza affinché l'apparato decorativo si potesse integrare armoniosamente con la struttura architettonica senza alterarne la natura: “sono sicuro, che la molteplicità degli ornamenti non presenterà all'occhio una confusione di oggetti; ma una vaga e dilettevole disposizione di cose […]; [i camini] debbono servire al divertimento eziandio dell'occhio con la loro vaghezza e co' loro ornamenti, e messi direi quasi a concerto col resto del gabinetto di cui son parte, debbono presentarci una vaga e dilettevole simmetria. […] Per questo fine appunto ho io nei miei disegni de' camini, non solo proposto il disegno del camino, ma degli ornamenti altresì delle pareti, a cui s'appoggia […]. Né vuol certamente ascriversi a difetto, che sì fatti ornamenti delle urne, delle basi, e d'altre sì fatte opere abbia io trasferito alle pareti; poiché vedendo io gli stessi stessissimi ornamenti delle basi per esempio, trasferiti alle urne, alle statue, opere fra di loro disparate, ho ben potuto ragionevolmente supporre, che questi dovessero essere comuni alle pareti, ove tanto meglio possono disporsi” (p. 2). Tale dichiarata aspirazione a un'organizzazione decorativa unitaria, in cui camini e mobili figurano alla pari come parte integrante dei gabinetti di studio in virtù della loro sostanziale equivalenza compositiva, emerge evidente in questa tavola, emblematica di quel voler paragonare le aperture dei camini – con le forme sinuose dei loro profili curvilinei – a “un armadio, o un Bur- rò” (p. 2), includendole in una più ampia decorazione parietale. Ne viene dunque ribadito il limite bidimensionale delle superfici murarie, nella maggior parte dei casi interamente rivestite di boiserie, profilate da cornici finemente lavorate con motivi d'ornato, privi di risalto plastico. È un'architettura senza una spazialità propria, strettamente vincolata alla parete e alla sua organizzazione decorativa. Dal confronto in particolare con le prime tre tavole della raccolta (catt. 84-86), qui la commode en console a unico cassetto, sormontata da vasi e dal grande orologio, emerge come il corrispettivo di un camino, condividendone, come ha sottolineato Battaglia (1994, p. 200) “le dimensioni ridotte, consone a una collocazione in ambienti che si immaginano piuttosto raccolti; il profilo curvilineo dei montanti che trova poi prosecuzione in un elemento decorativo ad andamento ondulato che corre sulla fronte; alcuni dettagli ornamentali quali le testi di ariete angolari e i sostegni a forma di zampa caprina; infine la presenza di un oggetto soprammesso che fa da raccordo alla parete”.
La decorazione parietale a motivi vegetali simmetrici, una sorta di berceau pergolato popolato da uccelli e grifi alati – ma anche le losanghe con putti danzanti e volatili sul fronte del mobile – trova anche qui la più probabile fonte nel repertorio ercolanense (in particolare nei volumi III e IV de Le Antichità di Ercolano esposte, sulle Pitture antiche d'Ercolano e contorni, che erano stati pubblicati di recente, tra il 1762 e il 1765). Se i vasi e la sommità del grande orologio, con la figura alata tra gli scudi che rimanda ai Trofei di Mario, citano motivi classici, la commode ripropone invece l'assortimento di elementi figurativi comune alla raccolta, come le teste d'ariete, le protomi equine, le teste di Medusa, i serpenti striscianti dalle code che terminano in volute, le teste di Mercurio: un vocabolario tratto dall'antico ma calato in una struttura ornamentale ancora prossima al gusto décor del rococò francese.
Sotto il profilo tecnico-stilistico, la matrice presenta modalità esecutive adottate dalla bottega incisoria piranesiana dagli anni Cinquanta, quali i tratti approfonditi con rientri a bulino sul precedente tracciato all'acquaforte per differenziare la diversa intensità dell'ombra portata sulla parete dal profilo inferiore e dalle gambe del mobile. Così come a bulino sono realizzati i puntuali ritocchi nelle ombre più fonde, lungo i profili delle modanature sul fronte destro del mobile, e il puntinato della cornice inferiore dell'immagine.Bibliografia
- Petrucci, 1953, p. 292, n. 905a, tav. 55
- Focillon, 1967, p. 357, n. 915
- Wilton-Ely, 1994, p. 949, n. 876
- Ficacci, 2000, 548, n. 688.
- MISITI, Maria Cristina; SCALONI, Giovanna (ed.), Giambattista Piranesi: sognare il sogno impossibile, Istituto Centrale per la Grafica, Roma, 2022, libro multimedia.
Condizione giuridica
Condizione giuridica: Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali
Provenienza: Acquisto
Compilazione
Compilatore: Giorgio Marini