Veduta dell'ingresso della camera sepolcrale di L. Arrunzio
1751-1756 (Sec. XVIII)
mm 406 x 616, spess. 2,2-2,3
Osservazioni:
Osservazioni: Didascalia su matrice separata
M-1400_58b.
Questa degli Arrunzi è la prima camera sepolcrale, tra le molteplici presentate nelle
Antichità, di cui Piranesi indaga gli ambienti sotterranei, proponendo due vedute di spazi ipogei (catt. 88-89) la cui trama incisoria è resa vibrante dalla molteplicità degli oggetti e dalla frammentazione dei piani sui quali si riflette la luce che filtra dall'esterno. L'autore restituisce in queste tavole “la rappresentazione di una particolare situazione storica” (Wilton-Ely 1994A, pp. 60-61), offrendo un saggio straordinario delle potenzialità pittoriche dell'incisione: le stampe tratte dalle due matrici sono tra le più belle dell'intera opera piranesiana sull'antico per articolazione compositiva, valori luministici e tonali, abbondanza di particolari.
Un riscontro della fortuna editoriale di questa veduta, come di quella alla tavola successiva (cat. 89), si ha dalla pubblicazione postuma di una raccolta di vedute disegnate da Jean Barbault,
Recueil de divers monuments anciens, 1770, curata dagli editori Bouchard e Gravier al Corso – peraltro editori delle
Antichità di Piranesi – con l'intento di offrire un'agile selezione di immagini tra le più significative nell'illustrazione della Roma antica. Nella raccolta figurano due tavole in formato ridotto (tavv. 21-22), incise da Montagu e direttamente derivate da queste piranesiane, in cui viene copiata dall'incisore l'angolazione prospettica e l'impostazione spaziale e luministica, discostandosi solo nella distribuzione di alcuni dettagli o figure nel tessuto grafico (cfr. Lui 2006, pp. 85-86)..
L'interno di questa camera era stato riprodotto in altri disegni e incisioni dell'epoca – che precedono e seguono il lavoro di Piranesi - a testimoniare l'importanza della scoperta. Tra i disegni, i fogli già menzionati di Pier Leone Ghezzi (cat. 86), su uno dei quali l'artista riprende a penna e inchiostro acquerellato una sezione di questa prima camera, di cui rappresenta il nudo volume in una statica prospettiva centrale (cfr. Fusconi 1994, p. 162, fig. 24). Una piccola veduta della camera, come spazio vuoto atto solo a contenere i sepolcri, fu incisa invece a acquaforte da Nicolò Mogalli per la raccolta
Varie vedute di Roma antica e moderna disegnate e intagliate da celebri autori, Roma 1748 (tav. 53), volume pubblicato da Fausto Amidei, cui per alcuni soggetti aveva partecipato anche Piranesi. La stessa tavola fu poi riutilizzata nell'
Accurata e succinta descrizione di Ridolfino Venuti (1763, I, tav. 43; cfr. Pasquali 2006, p. 182).
La matrice in questione fu incisa dal nostro autore verso il 1750 per la sua raccolta
Camere sepolcrali degli antichi Romani (cfr. cat. 87), e solo qualche anno dopo inserita nel secondo tomo delle
Antichità Romane. Con ogni probabilità l'esemplare a stampa della Biblioteca Vaticana (Barberini) è da riferire proprio a una tiratura fatta dalla matrice per le
Camere sepolcrali, quindi precedente quella per il volume delle
Antichità, in quanto la stampa vaticana risulta impressa su carta non omogenea rispetto al resto del tomo (come notato da Focillon per le cinque tavole di Girolamo Rossi, cfr. cat. 163 e Focillon ed. cons. 1967, p. 66).
Da un punto di vista figurativo, a confronto con i precedenti citati, Piranesi incide una composizione di considerevoli dimensioni che si sviluppa sulle direttrici di una dinamica prospettiva angolare, dalla tessitura fortemente chiaroscurata e ricca di dettagli interpretativi, in cui l'osservatore viene innovativamente collocato all'interno dell'ambiente illustrato.
Le differenti profondità di morsura, che impostano i rapporti chiaroscurali della raffigurazione, sono impiegate per restituire la scansione spaziale dei piani prospettici; i rientri e i ritocchi a bulino per rafforzare le ombre e definire i particolari del disegno.
Sulle zone in ombra che chiudono lateralmente la composizione e sul pavimento del sepolcro si concentra tutta l'intensità degli scuri, conseguita protraendo l'ultima morsura oltre i tempi raccomandati, con il risultato di creare diffuse bruciature d'acido sulla superficie del rame - ossia porzioni di matrice dove i segni eccessivamente scavati dal mordente si fondono tra loro. Le aree così ottenute vengono magistralmente sfruttate in quanto atte a ricevere una notevole quantità d'inchiostro: si osservi il particolare della mano del personaggio in primo piano inginocchiato di fronte al sepolcro, ma anche i profili indistinti della statua sul coperchio del sarcofago a destra, e le bruciature in basso a sinistra e tra i resti a terra. Dove si desiderava ripristinare il tracciato distinto dei segni, l'incisore è successivamente intervenuto con la tecnica diretta, intagliando il rame in profondità col bulino (si osservino i solchi neri sugli imponenti rocchi di colonna a destra e sul pavimento a destra, all'incirca sopra le parole “CAMERA SEPOLCRALE” in didascalia).
Le luci nella figurazione sono rese con l'ausilio della vernice di riserva, impiegata anche per simulare macchie di umidità, o gore, sulla superficie dell'intonaco della parete di fondo e sulla volta a botte. Sulla struttura muraria della camera realizzata in opera reticolata (margine sinistro) la modulazione tonale è conferita col brunitoio che abbassa i segni incisi.