1764 (Sec. XVIII)
mm 146 x 208; spess. 1,1-1,5
Osservazioni:
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M-1400_462 e
M-1400_463a. Al grande monumento sepolcrale che sorge sull'antico tracciato della via Appia, appena superata la cittadina di Albano, sono dedicate ben tre illustrazioni: una tavola doppia (tav. V) in cui la tomba, in primo piano a sinistra, è inserita nell'ambiente circostante dove è ben visibile il selciato sconnesso della vetusta strada consolare (tav. V, cat. 33) e una seconda tavola, che occupa una sola pagina, costituita da due incisioni piccole. Quella superiore (tav. VI), mostra il sepolcro visto da un punto di osservazione diverso rispetto alla precedente, con in lontananza la chiesa di Santa Maria della Stella (cat. 34), ed è stampata insieme a una matrice non numerata (tav. VIb), posta in basso, che rappresenta la planimetria del monumento (cat. 35) dove risulta evidente, a destra della composizione, il tratto della via Appia con il suo basolato, su cui sorge la costruzione sepolcrale. Come si evince dalla planimetria, l'edificio è costituito da un parallelepipedo centrale a pianta quadrata sormontato da un tronco di cono centrale contenente la cella sepolcrale e quattro tronchi di cono più piccoli posti negli angoli del corpo quadrato su cui poggiano.
Il monumento, realizzato con blocchi di peperino, è raffigurato così come si presentava all'epoca: in stato di rovina. Date le sue cattive condizioni poco tempo dopo, nel 1812, Antonio Canova, in qualità di Ispettore Generale delle Belle Arti dello Stato Pontificio, fece restaurare il mausoleo a Giuseppe Valadier e Paolo Provinciali ma l'intervento, seppur effettuato con criteri abbastanza vicini a quelli moderni, lo trasformò irrimediabilmente.
L'identificazione di questo monumento non è certa e nessuna delle proposte avanzate al riguardo appare convincente. Si è ipotizzato che possa essere il sepolcro di Pompeo Magno, oppure quello del condottiero etrusco Arunte o della famiglia degli Azzi residente nella vicinissima Ariccia. Secondo una consolidata tradizione locale, il sepolcro apparteneva agli Orazi e Curiazi, i leggendari fratelli che con l'esito del loro scontro determinarono la vittoria di Roma sulla potente Albalonga. A conferma di tale tradizione, in epoca imprecisabile, ma comunque in tempi piuttosto antichi, fu apposta sulla tomba una lapide che la assegna ai valorosi guerrieri come si vede nella tavola VI, distinta con il numero
1. Un'attribuzione, questa, che non convinceva Piranesi, come è possibile dedurre dal cartiglio in basso a sinistra poiché, insieme alla firma, in esso viene precisato che il sepolcro fu “falsamente” ascritto ai leggendari fratelli. Nella stessa tavola, sopra il citato cartiglio, è visibile la facciata della chiesa barocca di Santa Maria della Stella fondata dai Savelli nel XVI secolo sul luogo in cui erano state costruite delle catacombe e un romitorio dedicato a San Senatore. Secondo un'antica tradizione in età romana nella stessa area sorgeva un tempio dedicato a Esculapio.
L'artista veneto escludeva che la tomba potesse essere appartenuta agli Orazi e Curiazi e lo si deduce dal
Capitolo Quarto del testo che precede le tavole, dove è esplicitato meglio il pensiero dell'autore il quale contesta le diverse proposte perché prive di fondamento storico senza tuttavia suggerire alcuna identificazione alternativa. In questo caso egli non condivideva neanche l'opinione del gesuita Padre Volpi che nel suo
Vetus Latium si era dimostrato convinto che questo era il sepolcro di Pompeo. Il potente avversario di Cesare perse la vita in Egitto ma le sue ceneri furono trasferite in Italia e consegnate alla vedova Cornelia. I cinque cippi di forma conica potrebbero voler ricordare le cinque vittorie riportate da Pompeo prima del Consolato. Un'ipotesi, questa, nota a Padre Volpi, che era stata riportata da Pirro Ligorio senza che questi ne avesse tuttavia indicato la fonte.
L'incisore, dopo aver osservato che la tomba in questione ha una struttura molto simile a quella di Porsenna a Chiusi descritta da Plinio (
Naturalis Historia, XXXVI, 86), sebbene lo storico parli di cinque
pyramides e non di tronchi di cono, giunge comunque alla conclusione che il sepolcro sulla via Appia possa essere tra le opere più antiche del Lazio. La datazione assegnata a questo monumento dagli archeologi è la prima metà del I secolo a. C.
Piranesi aveva già inciso la tomba degli Orazi e Curiazi in
Alcune Vedute di Archi Trionfali ed Altri Monumenti, 1748, sec. ed. post 1761, tavola 101 (cfr. Mariani 2010, p. 146), e ne
Le Antichità Romane, 1756, tavola 287 (cfr. Salinitro in Mariani 2014, cat. 152, pp. 319-321)
Le matrici delle due tavole V e VI (catt. 33-34) presentano interventi a bulino soprattutto nelle zone in primo piano. I segni particolarmente profondi, scavati con bulini molto grandi, si individuano soprattutto nella tavola V, a sinistra, dove è inciso il monumento sepolcrale, e in primo piano dove sono presenti delle zone scure molto ampie che delineano le lacune tra i basoli del lastricato della via Appia. Le figure incise in questa matrice, particolarmente belle, sono tipiche delle stampe di Piranesi e sono definite con pochi, sintetici tratti.
La tavola VIb), non numerata e non firmata, presenta segni incisi prevalentemente ad acquaforte, con poche morsure, mentre le lettere della didascalia sottostante sono realizzate, come di consuetudine, con il bulino.
La tavola V ha la superficie acciaiata e in un punto, nella zona centrale del cielo, l'acciaiatura lascia intravedere il rame sottostante; lo stesso accade sul verso dove, nella parte centrale, sono visibili vaste aree del rame che si trova al di sotto.