mm 391 x 488, spess. 1,5-2,1
Osservazioni:
Osservazioni: Didascalia su matrice separata
M-1400_142b.
Le campagne di scavo che nel 1726 avevano portato alla luce le camere sepolcrali della famiglia di Augusto sull’Appia antica erano state illustrate dalle dettagliate pubblicazioni di Francesco Bianchini e di Anton Francesco Gori del 1727 e nelle incisioni su disegno di Pier Leone Ghezzi edite nel 1731 (cat. 164). Se nel caso di Bianchini l’attenzione era riservata al rilevamento della struttura architettonica e delle tecniche costruttive, e alla dettagliata documentazione delle iscrizioni e delle lapidi, tralasciando invece il ricco patrimonio di materiali funerari rinvenuti, nei lavori di Gori e Ghezzi questi reperti sono oggetto di particolareggiate e fedeli illustrazioni. E’ importante notare che il volume di Gori costituisce per Ghezzi e, tramite quest’ultimo, per Piranesi, la fonte di riferimento per i reperti, come risulta evidente dalla trasmissione da un’opera all’altra delle medesime modifiche apportate sul disegno originale degli oggetti che si può riscontrare nei casi in cui questi siano stati rintracciati (Kammerer-Grothaus 1979). Ma, occupandoci qui solo delle incisioni relative alla descrizione dei reperti, il volume di Ghezzi è impostato su soluzioni grafiche che rivelano un criterio illustrativo molto efficace, diverso dall’intento documentativo e pianamente didascalico dei predecessori, e che mostra il chiaro riferimento a una moderna impostazione che è quella, non a caso, dell’ordinamento museale delle raccolte pontificie inaugurate nel 1734 a Palazzo Nuovo, quale possiamo ancora vedere nella Sala dei Filosofi dei Musei Capitolini (Battaglia 1996). Al nuovo metodo di rappresentazione dei reperti -oggetti trascelti per la loro valenza storico-artistica, categorizzati, musealizzati, e disposti su ripiani marmorei e offerti alla visione del pubblico- Piranesi si ispira, introducendo però scelte stilistiche quali il risentito chiaroscuro e la disinvolta disposizione dei frammenti marmorei, dei cippi funerari, delle urne e dei rilievi -disomogenei per classe, dimensione, stato di conservazione- in un diverso rapporto reciproco e tra gli oggetti e lo spazio, tra gli oggetti e lo spettatore; un equilibrio che si può definire narrativo perché capace di generare una lettura del loro valore estetico e storico (catt. 169-171). Narrativo anche perché trasmette -considerando la notizia, la fonte letteraria, parte integrante del resoconto degli scavi- la temperatura emotiva, la meraviglia, l’intenso interesse provati dai contemporanei nel discoprimento di un patrimonio così straordinario: così lo scheletro nel sarcofago di terracotta nella tavola XXX (cat.172) non è soltanto una notazione pittoresca e drammatica, ma rimanda alla testimonianze dirette delle scoperte, come quella fornita dallo stesso Francesco Ficoroni a proposito dello scavo nella Vigna Moroni: “Quello di più curioso che osservi nel suddetto mio scavo di camere sepolcrali, si è che nei lati sotto il pavimento e per lo più fuori all’intorno di esse camere, vi erano cadaveri intieri di gente ordinaria ricoperti da tegoloni composti a guisa di casupole e nelle loro bocche tra li denti avevano medaglie di bronzo mezzane de’ primi imperatori e donne auguste, oboli” (Battaglia 1996, p. 71).
Le prime tre matrici di questo gruppo (catt. 169-171) recano la doppia firma di Piranesi, per l’ideazione grafica, e di Barbault, per l’incisione; l’ultima matrice (cat. 172), recante la firma del solo Piranesi (
Piranesi Architetto dis. ed inc.) mostra effettivamente i caratteri di un lavoro completamente autografo. Si noti, nel confronto tra le parti figurative, il modo di risolvere i volumi a rilievo delle figure marmoree: dove, nelle tavole incise a Barbault, riconosciamo la marca francese del
peintre-graveur nel tratteggio estremamente frammentario, mobile e nervoso, nelle superfici gonfiate in morbide ombre pulviscolari, Piranesi rivela un andamento realmente scultoreo, che definisce con fermezza i volumi marmorei dei rilievi. Così, ad esempio, la caratteristica tendenza a non incrociare i segni incavati nel rame lo porta a plasmare il volto di Bacco (lettera
F) in un fascio di segni continui e dall’andamento pressoché parallelo e curvilineo, che si assottigliano e si dilatano avvolgendo elasticamente le superfici concave o convesse della fisionomia, in ciò ricordando molto da vicino la tecnica bulinistica di Claude Mellan; nel caso di questa tavola, però, l’effetto grafico “scultoreo” del bulino sembra anzi consapevolmente ricercato ed emulato, rientrando con lo strumento nel tracciato condotto ad acquaforte, come si rileva all’esame della matrice. La superficie è interamente lavorata ad acquaforte con circoscritti ritocchi a bulino nelle zone in ombra degli oggetti; ampi e pesanti sono invece gli interventi nell’angolo in basso a sinistra e nell’area in ombra a destra del bassorilievo con maschera di Bacco, già presenti nelle edizioni del 1756: qui il bulino ha di fatto obliterato l’area sottostante, nella quale non si ravvisa, comunque, una figurazione precedente.
Le tre matrici firmate d Barbault mostrano i caratteri stilistici attribuibili all’artista, ma in alcuni particolari si notano elementi nel trattamento tecnico non riscontrate nelle tavole del II Tomo: si faccia attenzione al trattamento del frammento angolare di un’urna nella tavola XXVII (cat. 169) indicato con la lettera
M: il volume tornito del braccio e del collo della baccante è ottenuto dalla sovrapposizione di un tracciato di linee parallele ad acquaforte e di uno superiore di linee parallele a bulino orientate nel senso opposto, che creano un reticolo di rombi, sfruttando in questo modo un espediente adottato, più di un secolo prima, a Jacques Callot allorquando andava mettendo a punto la su rinnovata tecnica acquafortistica (Trassari Filippetto 1992, pp. 61-62). Si nota inoltre (cat. 170, in particolare l’urna con festoni sorretti da geni alati) un diverso equilibrio qualitativo tra acquaforte e interventi a bulino, a favore di quest’ultimo che prevale nella valorizzazione dei volumi e delle delicate ombreggiature dei corpi e delle fisionomie altrimenti affidate, nel II tomo, al puntinato ad acquaforte; sui volti il puntinato si configura qui più nettamente come una catena di piccoli tratti che lambiscono i volti, frammisti a piccoli tratti, quasi una fitta e sottile peluria, in tecnica diretta (cat. 171, nel volto della sacerdotessa scolpita sul rilievo indicato con la lettera
D), su microaree di superficie non intaccata dall’acido.