Pianta e Frammenti della Camera sepolcrale esistente nella Vigna Casali a Porta S. Sebastiano
1751-1756 (Sec. XVIII)
mm 46 x 517, spess. 1,9-2,4
A. F
G. H
. L
Osservazioni:
Osservazioni: Cfr. matrice
M-1400_104a.
Nella vigna dei marchesi Casali, cui si accedeva per un cancello che si apriva su via di Porta San Sebastiano, vennero alla luce numerosi reperti già a partire dal XVII secolo, come del resto accadeva in tutta l'area archeologica circostante. Agli inizi del Settecento nella vigna furono scavati una gran quantità di sepolcri di epoca romana: Pier Leone Ghezzi sembra far riferimento a monumenti sepolcrali scoperti nell'anno 1726 in quei terreni (Santolini Giordani 1989, p. 63) nelle sue tavole con prospetto di un colombario, dettagli architettonici e pianta di questo (Ghezzi 1731, tavv. XXXV, XXXVIII; 1426/33 e 1426/36). Le campagne di scavo nella vigna Casali, rese note dall'antiquario Ficoroni che ne fu attivo protagonista, ripresero poi intorno al 1730 (cfr. Ficoroni 1732, pp. 47 e segg.) e si protrassero per alcuni anni; nel 1746 fu scoperta quella “camera magnifica” con grandi nicchie ornate da grotteschi e stucchi, subito demolita, che Piranesi documentò nelle
Antichità (cfr. cat. 30).
Nell'
Indice della
Pianta di Roma (I tomo, n. 143) Piranesi accennava alla dimostrazione di un'altra camera sepolcrale con colombario, ritrovata nella stessa vigna, di cui alla presente tavola e alla successiva avrebbe illustrato la pianta e la veduta interna.
Sulla prima matrice l'autore delinea la singolare pianta con base quadrata, le cui pareti erano rinforzate esternamente da quattro grandi absidi. La pianta è disegnata su un frammento lapideo d'invenzione piranesiana, con un esplicito rimando ai marmi della
Forma Urbis, espediente che ricorre nell'opera (cfr. catt. 73, 76). La composizione – articolata nello spazio compreso tra il piano d'appoggio e quello di fondo – è completata attorno dalla rappresentazione delle nicchie del colombario (in alto a destra), di un cippo funerario e di un sarcofago in basso, che fuoriesce illusionisticamente dalla cornice per invadere l'area riservata alla didascalia, raccordando lo spazio del passato a quello del moderno osservatore.
Da un punto di vista tecnico l'incisione è condotta prevalentemente a acquaforte. Il bulino rientra nei segni corrosi dall'acido per approfondire le ombre proprie degli oggetti o quelle proiettate dagli stessi sul piano d'appoggio (si vedano anche i rientri a bulino che marcano la zona d'ombra proiettata in basso dal sarcofago). Qualche ritocco a tecnica diretta e pennellate di vernice di riserva conferiscono vibrazioni chiaroscurali agli spessori fratturati del frammento lapideo e del sarcofago: l'autore concentra come sempre l'attenzione sulla cura tecnico-linguistica di questi elementi – che da grafici diventano pittorici – per conferire al carattere documentaristico della tavola una vena di romantica narrazione.
La superficie frontale del cippo funerario su cui compare l'iscrizione è stata completamente brunita per ripulire il fondo da imperfezioni e ottenere il bianco in stampa, anche se rimangono visibili i tracciati a punta secca graffiti sulla lastra, sulla cui impronta sono stati poi incisi a bulino i caratteri in stampato maiuscolo. Sulla stessa iscrizione si nota un'abrasione, con ribattitura corrispondente sul verso, sotto le lettere “FLA”, quarta riga dall'alto, per correggere un errore in fase di scrittura.
Si segnala un graffio di considerevole entità presente sulla matrice in corrispondenza della brocca raffigurata sul fianco del cippo; poco più in alto sulla destra la matrice è stata inoltre danneggiata da un urto che ha provocato un circoscritto avvallamento del supporto metallico. Questi danni meccanici – che compromettono l'immagine poiché l'inchiostro in fase di stampa si concentra in quei punti - non si riscontrano sull'incisione fino ancora alla sua pubblicazione nella seconda edizione dell'opera (1784, ASL 14-D/2); compaiono invece sulla stampa nell'edizione Firmin Didot: la causa è da individuare probabilmente nei molteplici spostamenti subiti dal fondo di matrici successivamente alla fuga di Francesco Piranesi da Roma nel 1799.
Sulla seconda matrice è illustrato l'interno della camera sepolcrale, architettonicamente caratterizzato da una insolita articolazione decorativa delle pareti. La pittorica traduzione a stampa della frammentaria bellezza di questo ambiente sotterraneo, è paragonabile a quella delle vedute ipogee della camera sepolcrale degli Arrunzi (catt. 88-89).
Anche tecnicamente la matrice è realizzata con le medesime modalità: più morsure a acquaforte e diffusi interventi a bulino, utili a graduare la gamma tonale della composizione. In particolare, i rientri col bulino nel tracciato segnico dell'acquaforte, tesi a intensificare le ombre, sono presenti soprattutto nella zona alta della figurazione, e sulla parete a destra cui si appoggia la scala.
Linee di costruzione del disegno, tracciate a secco sulla lastra prima della sua preparazione per le morsure, sottendono a tutta la figurazione.